«La difficoltà più grande? L'inverno»

Lo spirito allegro di Susan la prima masai bergamasca

Lo spirito allegro di Susan la prima masai bergamasca
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Photocredit BergamoPost/Luca Della Maddalena.

 

Cos’hanno in comune i bergamaschi con i masai del Kenia? Nulla, verrebbe da rispondere. Ed invece non è proprio così. Lo dice una persona che conosce molto bene entrambe le realtà. Si chiama Simayiai Susan Muteleu, ha 33 anni ed è la prima masai ad aver sposato un uomo bianco: Ivano Carcano, odontotecnico bergamasco, l’ideatore del festival “Lo Spirito del Pianeta”. Le abbiamo chiesto quali sono le differenze e i punti in comune tra queste due popolazioni così distanti a livello geografico e culturale, ed è emerso che c’è più di una similitudine: il carattere inizialmente chiuso, un po’ burbero, diffidente verso le novità, verso lo straniero, che man mano si trasforma in disponibilità, accoglienza, affetto. E la polenta, che in lingua masai si chiama “Ugali”.

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Simayiai è figlia del capo di Merrueshi, un villaggio ai piedi del Kilimangiaro. La prima volta che ha lasciato la sua terra è stato nel 2004, quando è partita insieme ad un gruppo di masai proprio per partecipare allo “Spirito del Pianeta”. «Io vivevo nella Savana e quando sono arrivata in Italia pensavo di trovare un ambiente simile al mio – racconta -. Invece non c’erano gli stessi colori, poca natura, tante costruzioni, tanta confusione. Mi sono sentita inizialmente sperduta, anche perché non parlavo la lingua». Poi però è arrivato Ivano: «Lui dice che si è innamorato di me non appena mi ha vista, è stato un colpo di fulmine – dice Simayiai con un velo di imbarazzo -. Per me non è stato così, l’amore è venuto con il tempo, dopo averlo conosciuto. È una persona molto gentile, sensibile, dolce, rispettosa degli altri, delle diverse culture e soprattutto del mondo femminile, cosa che mi ha colpito molto. Così nel 2007 mi sono trasferita con lui a Pontida e nel 2012 ci siamo sposati».

Come viene considerata la donna nella sua cultura?

«Diciamo che prevale la figura maschile, il capo famiglia è l’uomo e, fino a pochi anni fa, era praticata la poligamia. Mio padre ha tre moglie e io ho 20 fratelli. Per fortuna qui in Italia non c’è questa pratica perché paradossalmente io sono molto gelosa e non riuscirei a condividere il mio uomo con altre donne».

I suoi genitori come hanno preso la sua scelta di sposare un uomo europeo?

«Mio padre è una persona aperta, non mi ha ostacolata. Mia madre invece non era d’accordo, più che altro perché ci siamo dovute separare e ci vediamo raramente».

Com’è stata accolta quando è arrivata a Pontida?

«Inizialmente c’era diffidenza nei miei confronti, ma ho capito che i bergamaschi sono un po’ come gli abitanti del mio villaggio. Non ti danno confidenza subito, ti tengono un po’ distante per conoscerti meglio. Poi, quando si aprono, ti danno il cuore, mi hanno come adottata e fanno di tutto per farmi sentire a casa».

E suo marito invece? Com’è stato accolto nel suo villaggio?

«Quando lo vedevano arrivare i bambini scappavano terrorizzati: “Aiuto, l’uomo bianco!”. Mio nipote ogni volta che Ivano si avvicinava scoppiava a piangere. Per conquistarlo gli ha dovuto portare molti dolcetti. Gli altri abitanti invece, dopo averlo studiato un po’, lo hanno accolto con curiosità e simpatia».

Le piace il cibo italiano?

«Non molto. All’inizio è stato davvero un problema. La pasta non la amo, non siamo abituati a mangiarla. Così cucinavo carne, riso, patate e poco altro. Quando mia madre è venuta a trovarmi dopo tre settimane è dovuta tornare a casa perché non riusciva a mangiare nulla. Io invece con il tempo mi sono adattata. Cucino molto bene la polenta perché la facciamo anche noi, ma con la farina bianca».

Qual è stata per lei la difficoltà maggiore da affrontare?

“L’inverno. Da noi è sempre estate, il sole sorge alle 6 e tramonta alle 18 tutto l’anno. Qui invece ci sono stagioni molto diverse, le giornate si allungano e si accorciano e all’inizio mi sembrava una cosa stranissima. In più io soffro molto il freddo, ma non solo a livello fisico. L’inverno è lungo, è grigio, le persone si chiudono in casa, sembra che tutto si addormenti. Mi dà un po’ di tristezza”.

 

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Ci sono dei luoghi nella bergamasca che le piacciono particolarmente?

«Le montagne sono bellissime. Vado spesso in Roncola, amo la natura e sono attratta dai boschi, dai prati, dal verde. Mi piace vivere qui».

Le manca il suo villaggio?

«Sì, mi manca tantissimo, soprattutto la mia famiglia, mia mamma, le mie sorelle. Lo scorso anno sono venuti a trovarmi una decina di miei fratelli in occasione dello “Spirito del Pianeta” e io cerco di tornare a Merrueshi almeno una volta l’anno, ma non sempre è possibile».

Ha mai subito qualche episodio poco piacevole a causa della sua etnia?

«Diciamo che quando sono in abito tradizionale suscito molta curiosità, quindi la gente si avvicina, mi chiede da dove vengo, vuole conoscere la mia cultura. Quando invece sono vestita in modo normale a volte scatta la diffidenza. La cosa che più mi infastidisce è il pregiudizio. Purtroppo molte ragazze di colore in Italia si prostituiscono e mi è capitato di essere stata avvicinata da uomini che mi chiedevano se volevo un passaggio».

Si è comunque fatta molti amici in Italia.

«Sì, ho la fortuna di fare un bel lavoro che mi permette di conoscere tanta gente. Tanti volontari che lavorano con noi al festival sono poi diventati anche amici. Inoltre vengo spesso chiamata nelle scuole come mediatrice per i progetti di intercultura e anche questo mi aiuta a farmi conoscere e a conoscere meglio gli altri».

In sostanza è tutta una questione di approccio.

«Direi proprio di sì. Gli altri ti trattano come tu tratti loro. Vedo che quando sorrido ricevo in cambio tanti sorrisi».

 

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La sedicesima edizione dello “Spirito del Pianeta” comincerà venerdì 27 maggio a Chiuduno e ad aprire il festival internazionale di gruppi tribali ed indigeni del mondo ci sarà Davide Van De Sfroos. Sono in programma 17 giorni di musica, cultura, cibo, tradizioni, riflessioni, laboratori, scambi e nuove idee, come il portale di informazione dei popoli indigeni al quale l’Assemblea dei Popoli Indigeni sta lavorando con l’aiuto degli studenti del liceo Federici di Trescore.

Giovedì 19 maggio Ivano Carcano, sua moglie Simayiai e un rappresentante del popolo Tuareg saranno ricevuti dalla commissione Esteri della Camera per poi tenere una conferenza stampa di presentazione del festival nella sala stampa del Parlamento. A novembre la manifestazione sarà ospitata in Australia.

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