Fassini, l'uomo che portò Ryanair a Orio (e che parla di equilibrio fra compagnie e limiti ai voli)
«Quando me ne andai gli irlandesi avevano il 52% del traffico (oggi l'84%). Testa diceva: "Serve misura, perché se a loro viene uno starnuto, a me viene la polmonite"»
di Paolo Aresi
Franco Fassini entrò come dipendente dell’Itavia nel neonato aeroporto di Orio al Serio nel 1972, cinquant’anni fa, fino a diventare direttore commerciale della Sacbo e artefice, con il presidente Ilario Testa, del grande sviluppo avviato nel 2002 con l’apertura ai voli low cost, a cominciare da Ryanair. Fassini dopo la pensione si è dato alla campagna. «Faccio il contadino» dice con un largo sorriso.
Una bella avventura la sua carriera.
«Molto bella, sì».
Immaginava che l’aeroporto sarebbe arrivato a quasi quattordici milioni di viaggiatori?
«È un numero molto importante, una questione delicata che merita la massima attenzione perché si pone su più livelli. Lo sviluppo dell’aeroporto, dell’economia bergamasca, dei posti di lavoro, la questione ambientale. Bisogna calcolare quale sia la ricaduta bergamasca di tutta questa grande mole di viaggiatori, le stime credo diano il tredici per cento dei passeggeri».
Che cosa significa “ricaduta bergamasca”?
«Si mettono insieme i bergamaschi che volano da Orio e le persone che da altre città o nazioni raggiungono il nostro aeroporto per una destinazione bergamasca».
E il restante 87 per cento?
«Penso che la maggior parte dei viaggiatori abbia come destinazione Milano».
Bergamo potrebbe sfruttare meglio l’aeroporto?
«Io sono ormai fuori da questi discorsi, però credo di sì, esiste un bel margine di crescita non tanto per l’aeroporto in generale quanto per la città e la provincia come destinazione: potrebbe crescere il numero di viaggiatori che si rivolgono al nostro territorio per affari o per vacanze».
Torniamo indietro di cinquant’anni.
«Io sono entrato in aeroporto per caso, facevo Economia e commercio e avevo il posto sicuro alla Popolare. In quel periodo stavo finendo il servizio militare, ero l’autista del colonnello che comandava il distretto di Belluno».
Ci racconti.
«Ero a casa in licenza e accompagnai un mio amico che doveva andare a Sesto per presentare domanda di assunzione alla Magneti Marelli. Sul treno sentii due signore che parlavano dell’apertura dell’aeroporto di Bergamo, era il marzo del ’72 mi sembra. Allora io dissi al mio amico: “Dai andiamo anche a fare domanda all’Alitalia”. Come fosse un gioco. Dopo la Magneti Marelli andammo in via Melchiorre Gioia all’Alitalia, ma ci dissero che loro non ne sapevano niente. Però un’impiegata gentile ci sentì e disse che secondo lei era coinvolta Itavia, che aveva sede vicino alla stazione Centrale. Andammo quindi all’Itavia e il mio amico compilò la domanda. L’impiegata mi disse: “Perché non la fa anche lei?”. Allora per non stare lì con le mani in mano compilai anch’io la domanda. Qualche settimana dopo arrivò a casa dei miei genitori un telegramma di Itavia: mi convocavano per un colloquio nella sede di Bergamo. Io ero in caserma, ne parlai con il comandante che mi diede subito la licenza. Al mattino feci il colloquio a Bergamo e al pomeriggio a Roma: ci mandarono nella capitale in aereo ed era il primo volo della mia vita, salimmo a bordo di un DC9-10. Mi sembrava incredibile. Tornai su la sera».
Quindi?
«Tornai in caserma. Dopo un po’ di giorni ero nell’ufficio del colonnello e sistemavo delle carte, il colonnello prese una telefonata, cominciò a parlare. Poi mise giù e mi guardò. Mi chiese quanti giorni di licenza avessi ancora. Quindi mi disse: prendi e vai subito a casa perché ti hanno assunto in Itavia, è un’occasione che non puoi perdere. E così preparai i bagagli e tornai a Bergamo. Cominciai come fattorino». (...)