L’uomo che festeggia 100 miliardi con una bottiglia di Dom Perignon

È lui il terzo uomo del mondo a superare l’asticella dei cento miliardi di patrimonio, dopo Jeff Bezos, il numero di uno di Amazon, e dopo Bill Gates, il fondatore di Microsoft. Ma lui non si occupa né di hardware né di software e non è neanche americano. Insomma potrebbe essere dipinto un po’ come un imprenditore all’antica: Bernard Arnault.
Come ha fatto a raggranellare una simile fortuna questo imprenditore francese senza avere tra le mani quel moltiplicatore folle di utili che è il web? Ci è riuscito dando ai ricchi del mondo gli status symbol della ricchezza. Arnault è il re del lusso, che ha bruciato il suo più temibile concorrente, François Pinault, anche lui francese, nella grande gara all'accumulazione di patrimonio. Con il balzo in borsa di giovedì 20 giugno, infatti, Arnault ha superato l’asticella dei cento miliardi e ha celebrato senza spendere con una bottiglia di Dom Perignon, una dei marchi di champagne che sono di sua proprietà. Si è anche tolto una piccola soddisfazione sottolineando che l’iPhone ha generato sì enormi ricchezze alla Apple, ma tra trent'anni l’’IPhone potrebbe esser un ricordo, mentre si continuerà a bere Dom Perignon. È stata l’agenzia Bloomberg a segnalare il record di mister lusso, evidenziando che a oggi i suoi gruppi rappresentano il tre per cento della ricchezza nazionale. Arnault è il proprietario di Lvhm, una “scatola” che contiene delle autentiche macchine produttrici di utili a partire da Louis Vuitton, Fendi, Veuve Cliquot, Moët & Chandon, Christian Dior, Céline, Kenzo, Sephora e così via...
La sua parabola è esemplare per capire come sta andando il mondo. Infatti è l’emblema di una ricchezza che gira a circuito chiuso, e che cresce su stessa. I clienti con grandi portafogli consumano a livello globale prodotti di lusso sempre in maggior quantità, perché il segmento ricco della popolazione mondiale si trova con sempre più risorse a disposizione. È una fascia di iper privilegiati che si giova di una sorta di armistizio ideologico e sociale (nessuno li demonizza e nessuno ne mette in discussione lo status). Non si limitano a tener alti i consumi del lusso; alimentano il sistema anche spingendo il valore azionario dei grandi gruppi: la capitalizzazione del groppo fi Arnault è cresciuto in borsa nel 2018 quasi di 32 miliardi, ma anche a Pinault la regina dei cosmetici Francoise Bettencourt Meyers non è andata male: si sono spartiti 40 miliardi complessivi di incremento.
La seconda considerazione da fare è che la Francia si è ritagliata questo ruolo di fornitore di prodotti di consumo per tutti i ricchi del mondo e su questo ruolo sta costruendo una buona fetta del proprio Pil. Non è un caso che pochi giorni fa sia stata resa la notizia che una delle due maggiori case d’asta del mondo, Sotheby’s, è stata rilevata d un imprenditore franco-marocchino, Patrick Drahl. La casa concorrente, Christie’s è già francese da un po’, in quanto di proprietà di François Pinault. Le case d’asta in questi anni oltre che distributrici di status symbol per miliardari in forma di opere d’arte, sono state anche le artefici di un fenomeno che segna il nostro tempo: la grande bolla sui valori degli artisti contemporanei. Una sorta di gioco di figurine pagate a nove zeri che i ricchi periodicamente si scambiano. Così va il mondo...