Il Maestro dei Piccoli Musici che continua a incantare il mondo
Nato a Borgo di Terzo, Mario Mora risiede con la famiglia a Casazza. Da piccolo è cresciuto al Collegio di Celana («Ho frequentato là otto anni, sa cosa vuol dire? Eravamo in ottocento, altro che il reality Il Collegio»). Ha studiato pianoforte, organo e musica corale. È fondatore e direttore artistico della Scuola di Musica, del Coro di voci bianche, del Coro giovanile e dell’Ensemble vocale femminile I Piccoli Musici, con il quale svolge un’intensa attività artistica con concerti e incisioni. Ha collaborato con teatri, orchestre e grandi direttori quali Riccardo Chailly, Romano Gandolfi, Ennio Morricone e Nicola Piovani. Ha tenuto corsi, convegni e atelier nazionali e internazionali sulla vocalità infantile. È stato premiato quale miglior direttore in diverse manifestazioni e in particolare al 29° e 51° Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto. Con il coro I Piccoli Musici ha partecipato a concerti trasmessi da Rai, Mediaset, Tv e Radio Svizzera; tra gli altri, i Concerti di Natale trasmessi in Eurovisione dalla Basilica di Assisi. È docente della Scuola di Musica S. Cecilia di Brescia. La Fondazione “Guido d’Arezzo” gli ha conferito il premio alla carriera “Guidoneum Award 2008”. Domenica 16 settembre si è tenuto l'open day della sua scuola di musica a Casazza.
Maestro, vedendola guidare I Piccoli Musici alla Donizetti Night abbiamo capito qual è il suo segreto: a lei la musica esce dalle mani, basta il più piccolo gesto e intorno le si accende un coro...
«Mi fa piacere che dica così perché per dirigere non serve essere plateali, basta un movimento sobrio».
Lei muove quasi solo le dita.
«Prima anch’io agitavo le braccia in su e in giù. Fino a quando un grande direttore, Fosco Corti, mi ha fatto apprezzare la bellezza di chiedere con discrezione le cose ai ragazzi. Basta fare così (mostra il dorso delle mani, ndr), o così (le gira sui palmi, ndr), e cambia tutto».
Mario Mora è uno dei più apprezzati direttori di coro europei, ma quando glielo ricordi abbassa lo sguardo come se stessi parlando di un altro. Persona schiva, con I Piccoli Musici - le voci bianche e l’ensemble femminile - ha vinto i principali concorsi europei e nazionali di canto corale e si è esibito davanti al Papa o in concerti accanto ai maggiori direttori d’orchestra. E quando gli hanno offerto la direzione del coro del Maggio Musicale Fiorentino, ha risposto: «No, grazie».
Ma le pare, maestro?
«Ho pensato: per il prestigio di dirigere quel coro mando all’aria tutto quello che facciamo qui? Che cosa avrebbe detto la mia gente? Mi accontento di lavorare dove possiamo fare quello che vogliamo».
Riprendiamo dalla tecnica gestuale. Stava dicendo che se si vede il dorso delle mani significa…
«Vuol dire “palato alto”, cioè che la bocca deve aprirsi perché la voce abbia un bel suono e il palato deve creare quasi una caverna: bisogna, per così dire, sentire il fresco. Facendo così (alza leggermente le mani, ndr) si aiuta il corista a respirare».
Se invece si vedono i palmi?
«Vuol dire “ingolato”. Ne esce un canto di gola, che non va bene».
Maestro, da quanti anni dirige cori?
«Sono partito trentacinque anni fa col coro parrocchiale scolastico. Nell’’86 ho avuto l’idea di fondare la mia scuola di musica in Val Cavallina, a Casazza, e quasi naturalmente, col corso di canto corale, sono nati I Piccoli Musici. Siamo arrivati al trentatreesimo anno e proprio domenica 16 settembre c’è l’open day».
Lei è un pianista, perché ha scelto il canto corale?
«Da giovane tenevo i corsi alla scuola dell’obbligo e le scelte erano tre: il flauto, la lettura della musica o il canto. In quinta i miei alunni sapevano tutti leggere la musica e a me è sempre piaciuto lavorare con loro, vederli crescere. Alcuni per i quali non daresti quattro soldi sono capaci di cose incredibili».
Un vero maestro è quello che si sorprende dei suoi alunni...
«Nel ‘95 abbiamo vinto il concorso internazionale di Arezzo e oggi quando guardo la foto della premiazione mi dico: “Ma come abbiamo fatto? Quel bambino aveva quel problema, l’altro riusciva a malapena a...”».
Ma insieme...
«È questa la bellezza del coro. Il maestro Roberto Goitre diceva che il coro è come una piccola società dove tutti devono dare il proprio contributo per il risultato comune. Non servono geni o ragazzi che respirano musica dal lunedì al sabato. Si possono fare cose grandi, creare una magia, unendo tante problematiche e tante forze».
Lei non ha fatto il docente di musica come professione.
«Ho sempre lavorato in banca. Ma dopo l’apertura della scuola mi hanno concesso un part-time di quindici ore».
Quanti ragazzi sono passati dalla sua scuola?
«Come media, 250 allievi ogni anno».
E questo ha fatto della Val Cavallina la valle con più coristi e strumentisti al mondo…
«Siamo riusciti a far crescere tanti ragazzi. La soddisfazione più grande è vedere che molti di loro, anche con la musica, per mestiere o per diletto, si sono realizzati».
Qual è stato il suo alunno migliore?
«Fra i coristi maschi, che sono sempre stati pochi, Simone Pellegrini, che ha fatto anche il piccolo cantore al Donizetti con Gregoretti. Le ragazze invece sono tante: Simona Zambetti, ad esempio, ha cantato Holy Night in diretta al concerto di Natale in Sala Nervi in Vaticano davanti a Giovanni Paolo II e a 7500 persone. Ma il bello non è il solista, è l’insieme del coro».
Lo pensano anche i genitori?
«Adesso prevale l’idea dell’agonismo, della gara, c’è il mito del figlio solista. Ma alcuni anni fa era diverso. Ai figli i genitori dicevano: fai pure sport, ma anche un’attività che ti trasmetta una sensibilità per il bello, per le cose fatte bene, sia essa la musica o la pittura... Ora dalle mamme e dai papà sentiamo dire: “Aspetto che me lo chieda mio figlio”. Campa cavallo».
Lei ha mai cacciato nessuno dal coro?
«Tanti dal coro preparatorio vorrebbero entrare nella formazione da concerto, ma anche per non mettere in difficoltà il bambino quando si troverà di fronte a un repertorio difficile, a più voci, se non ha l’intonazione giusta o ha una voce ingolata, o afona, gli consigliamo di fare orchestra. Qualcuno non accetta e lascia».
Insomma, per chi è stonato non c’è scampo.
«Si dice che non c’è nessuno stonato... Magari non ha l’orecchio educato alla musica. Pian piano, però... Ci sono bambini di sei anni che quando iniziano, a settembre, intonano note sbagliate. A gennaio, d’un colpo, riescono a cantare come tutti gli altri. A volte dico loro: ma dove sei stato nelle vacanze di Natale, a Lourdes?».
Cantar bene è un miracolo?
«Anzitutto serve esercizio. Chi intona subito la nota giusta ha avuto un dono dal cielo, per chi fa più fatica è meno impegnativo usare la voce come gli riesce che star lì a pensare di raggiungere chissà quali altezze. Aprire la bocca, arrotondare, respirare col diaframma sono tutte cose da ricordare. Se ne tralasci una, inevitabilmente viene a nuocere tutto».
Da che cosa dipende la crescita musicale e la durata di un coro di bambini e ragazze?
«In primo luogo dall’appoggio delle famiglie. Noi abbiamo sempre incontrato genitori disponibili anche a spostare le vacanze o le settimane bianche per partecipare ai concerti. Fossimo in una città forse tutto questo sarebbe stato più difficile, perché c’è il calcio, il basket, il cavallo… Un minor tessuto di famiglie capaci di creare tra di loro un clima».
La famiglia, e poi?
«E poi la costanza, l’impegno, la continuità negli anni, la sensibilità degli stessi coristi».
Abbiamo visto che adesso fate anche le coreografie.
«La coreografia è coinvolgente, mette allegria, ma per noi contano soprattutto il canto e il repertorio. Io, poi, non sono assolutamente capace di farli muovere. Non è nelle mie corde. La strada che voglio continuare a percorrere è quella di trasmettere emozioni».
Che cosa vuol dire?
«Tutti sono capaci di suonare delle note, ma pochi sanno dare un’espressione e l’esecuzione espressiva è la vera finalità del canto: solo essa trasforma le parole in elementi carichi di significato e di bellezza e fa del canto un fattore educativo, contribuendo a creare una sensibilità che rimane per sempre».
Quando il risultato è raggiunto?
«Quando dopo un concerto più ascoltatori ti vengono a dire “mi sono emozionato”, “mi sono venute le lacrime agli occhi...”».
Lei si è mai commosso ascoltando il suo coro?
«Due anni fa al concorso nazionale di Vittorio Veneto, nel tempio del coro maschile, mentre l’ensemble femminile cantava i canti della Grande Guerra gli occhi mi si sono riempiti di lacrime».
Ascoltando delle donne cantare il Testamento del capitano?
«L’emozione che può dare la voce femminile in quei canti, gli uomini non saranno mai in grado di trasmetterla. I maschi sono tutti impostati sulla potenza, ma in quelle canzoni c’è molto altro, anche perché le donne hanno avuto una parte importante in quegli anni della guerra aspettando i mariti e facendo i lavori al posto loro».
Quando darà vita a un coro maschile?
«Mai. Pensi che adesso c’è anche il coro delle mamme dei Piccoli Musici. Abbiamo cominciato con cinque lezioni e sono diventate venti all’anno, ci aspettavamo cinque mamme e ne sono arrivate 35. Sono un gruppo affiatatissimo. E i mariti sono felici, non so se perché le mogli escono da casa o perché quando tornano sono più contente».
Con i Piccoli Musici avete vinto i premi più importanti: Riva del Garda, Arezzo, e siete l’unico coro che a Vittorio Veneto, dove si tiene il concorso più antico, ha vinto tre volte. Il prossimo concorso?
«Si può vivere bene anche senza. Non ho più l’età per farli».
Come sceglie il repertorio?
«Siamo partiti dai canti natalizi, poi i canti popolari. Cerco sempre brani con un testo che possa mettere in luce le capacità espressive del gruppo. Ma, a voler vedere, i ragazzi possono cantare tutto. Quando abbiamo incontrato Zuccante, grande compositore, abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti».
Lei ha mai alzato la voce?
«Eccome, anche solo per parlare sopra a quaranta ragazze che chiacchierano».
E quali sono le regole fondamentali per un corista?
«Nel coro non è fondamentale solo sapere la propria parte, ma anche ascoltare quello che hai vicino: se non lo senti vuol dire che stai cantando troppo forte. Poi sono decisivi la costanza e il sacrificio. Da noi non si può mancare alle prove senza un motivo. È una scuola. La passione cresce man mano».
Cos’è la perfezione?
«È la conseguenza di un lavoro, di un percorso. Il bello è prendere ragazzi normali, più portati a fare un cross o una schiacciata a rete rispetto a un’emissione vocale, e condurli a competere nel canto anche con affermati cori stranieri».
Restate collegati anche quando i ragazzi diventano grandi?
«Con le coriste sì. Il gruppo storico è sempre riconoscente a questa avventura, anche se poi la vita porta ognuno dove deve andare. Una ragazza, oggi madre di tre figli, mi ha scritto un sms qualche giorno fa: “Sono orgogliosa di essere stata una piccola musica e un po’ mi sento ancora così. Grazie davvero. Tante capacità e competenze che mi ritrovo, quasi gratis, vengono proprio dai Piccoli Musici”. Sono questi i premi più belli. Il fatto che i miei ragazzi, una volta adulti, saranno persone responsabili».