Mario Negri, è Giuseppe Remuzzi il successore di Silvio Garattini

Dice che da ragazzo sveniva alla vista del sangue. Ne ha preso di coraggio da allora, e di gran carriera, Giuseppe Remuzzi, laureatosi in Medicina 44 anni fa. Dal 1° luglio lascia l’ospedale di Bergamo, oggi Asst Papa Giovanni XXIII, dopo una vita di ricerca e di impegno clinico sulle malattie renali: è l’attuale direttore del reparto di Nefrologia. Classe 1949, sposato con l’assessore alla Cultura del Comune di Bergamo, Nadia Ghisalberti (hanno tre figli), prende il posto di Silvio Garattini (che diventa presidente) come direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, fondato nel 1963 a Milano e oggi forte di altre due sedi (Bergamo e Ranica).
Entrato ai Riuniti nel 1975. Remuzzi, ai Riuniti dal ‘75, dal 1996 al 2013 ha ricoperto la carica di direttore del Dipartimento di Immunologia e clinica dei Trapianti, dal 2011 direttore del Dipartimento di Medicina, dal 1999 anche primario della Nefrologia e dialisi. Da sempre ha affiancato al lavoro clinico in ospedale un’intensa attività didattica e di ricerca: da quando l’Istituto Negri ha aperto la sua sede a Bergamo, Remuzzi coordina le attività di ricerca della sede e dal 1992 del Centro per le Malattie rare «Aldo e Cele Daccò» a Ranica. Quest’anno ha ricevuto, primo italiano nella storia del premio, a Philadelphia (Usa), il prestigioso Lennox Prize. A giugno 2015 è stato nominato «chiara fama» professore di Nefrologia del Dipartimento Scienze biomediche e cliniche dell’Università degli Studi di Milano, oltre a vantare attività didattiche con numerose università internazionali.
Le prospettive del Mario Negri. Il 29 maggio si è tenuto un «Club delle 2» speciale (momenti di incontro tra i ricercatori dell’istituto) in cui è avvenuto il passaggio di consegne tra Garattini e Remuzzi. Il fondatore del Mario Negri ha tenuto a precisare le linee guida che hanno contraddistinto il suo magistero, ma che dovranno servire anche negli anni a venire. Sei concetti, molto semplici, ma esaustivi. Indipendenza, condivisione, ricerca, giovani, pubblico, passione. Essere liberi di sperimentare è il primo cardine della logica di Garattini. «La prima cosa è non essere sudditi del profitto e invece purtroppo è una delle cose che regola il mondo. Abbiamo deciso fin da subito di non avere brevetti, non tanto per essere diversi dagli altri, ma perché è anche una forma di indipendenza. Non brevettare vuol dire collaborare con tutti, vuol dire non avere segreti. Poter pubblicare quello che si fa, vuol dire essere liberi di non andare per forza verso qualcosa di brevettabile». Questa voglia di essere indipendenti ha riguardato il professore in persona che ha rifiutato una cattedra alla Statale di Milano per evitare che l’istituto venisse poi inglobato all’interno dell’università.
Passione innanzitutto. Per Garattini avere passione coincide con il privilegio di essere ricercatori. «L’entusiasmo è contagioso. La passione deve cercare di evitare la burocrazia. Quante volte si ricomincia da capo? – si chiede – Bisogna lavorare con umiltà». Infine una massima. «La ricerca è come l’orizzonte: se faccio un passo avanti anche l’orizzonte si sposta. E allora perché guardarlo? Per continuare a camminare».