Fernanda Pivano, un'amica
All’età di novantadue anni, il 18 agosto del 2009, nelle ore del crepuscolo moriva Fernanda Pivano. Già mito vivente è ormai entrata a far parte come una divinità solenne dell’olimpo dei grandi della letteratura italiana, della sua storia. Per volere del caso i suoi funerali si sono svolti nella stessa Basilica di Carignano a Genova dove dieci anni prima l’amico di sempre Fabrizio De Andrè aveva ricevuto l’estremo saluto, il suo ultimo appaluso. Ad officiarli don Andrea Gallo con una commemorazione rimasta nel cuore di ognuno, toccante e di grande impatto emotivo. A distanza di cinque anni dalla sua scomparsa parlare di Nanda si può, ma come di una persona viva perché le leggende non muoiono mai e per il fatto che nulla potrà spegnere il fuoco di una personalità unica, l’esuberanza vulcanica di una esistenza intensa, espressiva e suggestiva come il più appassionante dei romanzi.
Prima di spendere qualche parola su Fernanda Pivano sento l’urgenza di dire che eravamo amici, che quando potevo andavo a trovarla nella sua casa di Piazzetta Guastalla, che oltre alle chiacchierate passavamo il tempo a gustarci belle cene al ristorante Cavallini, cui a volte partecipava anche Andrea Pinketts, dove i camerieri alle due di notte ci guardavano "storto" con evidente impazienza. La passione per Ernest Hemingway ci stregava entrambi e io non la smettevo mai di farmi raccontare aneddoti, storie, qualche "particolare piccante". «Nanda, ma tu eri innamorata di Ernest? Dimmi la verità...». «Certamente, come non esserlo. Era un bell’uomo, sai... e io credimi ero proprio carina a quei tempi. Mi ha fatto una corte incredibile e voleva perfino sposarmi. Quando lui si innamorava immancabilmente pensava al matrimonio». «E tu?». «Io ero già felicemente sposata con Ettore e non sono mai stata una infedele. La mia educazione vittoriana me lo impediva... È naturale che fossi lusingata dalle sue attenzioni, ma ho sempre resistito». Ecco se c’era un argomento che non gradiva approfondire era quello legato al marito Ettore Sottsass, l’architetto disegnatore fra le molte cose di Valentine la portatile rossa della Olivetti, da cui si era separata da tempo ma al quale sembrava essere ancora troppo legata per farne oggetto di conversazione.
«Mi porti una cocacola!». Il cameriere del ristorante che conosceva i suoi gusti ne teneva una scorta a portata di mano. Era la sua bibita preferita: o meglio la ingurgitava come il guerriero di una tribù si ciba del cuore del nemico. Quella era l’anima "cattiva" dell’America, quella del consumismo degli anni ’70 che lei combatteva a spada tratta, poi c’era quella "buona", l’America piena di speranze a cui giovanissima era approdata, che lei adorava perché pullulava di artisti di ogni genere che aveva amato e continuava ad amare, arrivando a tradurne i lavori per restituirli interi in tutta la loro forza letteraria lasciandone intatto lo spirito. Hemingway, Scott Fitzgerald Kerouak, Corso, Ginsberg, Ferlinghetti, lost e beat generation abbracciati dalla passione di Nanda capace di tradurre stadi d’animo, oltre al testo nudo e crudo. Dobbiamo ringraziare lei se l’Italia difficile di quei tempi ha conosciuto questi giganti della scrittura mondiale, trattati con la stessa sensibilità delle sue dita sulla tastiera del pianoforte, strumento che suonava benissimo per aver conseguito il diploma al Conservatorio di Torino nel 1940. Proprio la traduzione di Addio alle Armi le sarebbe costata un arresto da parte del regime fascista «Tell me about the nazi...». Le chiederà lo scrittore statunitense incontrandola per la prima volta a Cortina. «Lo ricordo come fosse adesso... ero così giovane e spaventata, ma con Hemingway mi resi conto di avere qualcuno a fianco che mi avrebbe difesa. Come era già accaduto con Cesare Pavese maestro di lezioni di letteratura comparata - mi ha confessato durante una delle nostre chiacchierate -. Mi ha insegnato a dare invece che a ricevere. Ti pare poco? Penso che la bellezza e la poesia siano le uniche due cose che mi hanno permesso di andare avanti per tutti questi anni. Credo che il nostro tempo abbia bisogno proprio di pace, bellezza e tanta poesia».