Michela Moioli, la regina delle nevi
La donna delle nevi non ha mai paura. Scivola sui sogni con la sua tavola da snow, scansa la fatica, fa appello al coraggio. E anche di più adesso che Michela Moioli è per tutti la campionessa della porta accanto. Mamma ha un’azienda di parquet che il nonno aveva messo su cinquant’anni fa. Papà lavora per la comunità montana, «e poi ha la passione degli orti e ogni tanto porta anche me». La sorella si è sposata da poco, «diventerò presto zia, spero: che bello». Il mondo della Moioli è fatto di cose buone e semplici, è lì che si sente bene.
È stata la prima italiana a vincere la Coppa del Mondo di snowboard cross. L'ultima conquista è di pochi giorni fa (21-22 gennaio), a Solitude (Usa), dove ha portato a casa il secondo posto nella gara individuale e il terzo in quella a squadre. E ora la stagione di Michela prende il largo, con un calendario fitto e avvincente per provare a riconfermare il 2016, l’anno della sua consacrazione. Una manciata di ore fa, per esempio, scriveva sul suo profilo Facebook: «Eccomi di nuovo in terra straniera, questa volta in Bulgaria, per la prossima tappa della Coppa del mondo!». E poi, a marzo ci sarà l’appuntamento più atteso, quello coi Mondiali, e Michela vuole stupire ancora una volta il suo mondo fatto di ghiaccio e fiocchi bianchi.
Eva Samkova brings home her career's sixth at today's sbx #SnowboardWorldCup at Solitude Mountain Resort edging out Michela Moioli and Lindsey Jacobellis.
Pubblicato da FIS SNOWBOARD WORLD CUP su Sabato 21 gennaio 2017
A farle sbirciare per un secondo il recente passato però non siamo noi: «La coppa me la tengo in casa, proprio lì, su un mobile. La guardo spesso. Mi fermo a pensare che quello è il simbolo di tanti sacrifici, di molte rinunce, e mi dà la forza di andare avanti perché so che quella è la strada giusta». Un tempo le ragazze sognavano le scarpette di cristallo o al massimo le coroncine, adesso vanno forte con una tavola da snow ai piedi e il cristallo al massimo è quello delle coppe. «No, con la mia non ci ho dormito. Altrimenti l’avrei frantumata in mille pezzi», sorride. Sa non prendersi sul serio, Michela. Anche se ha imparato a guardarsi dentro. «Sono molto riflessiva, è vero. Penso molto a quello che faccio, a come lo faccio. Anche questo ti aiuta a diventare grande».
C’è qualcosa che la spaventa?
«Farmi male, ma non ci penso spesso. Da quando mi sono rotta il ginocchio qualcosa è cambiato. Mi sono resa conto di non essere invincibile. Ma come dico sempre, farmi male mi ha fatto bene».
A cosa è servito?
«Mi ha sbloccato, mi ha aiutato a maturare. Ma certo resta la consapevolezza di non essere invincibile».
Nemmeno quando le hanno passato la coppa di cristallo tra le mani?
«È stato un momento davvero bello. Nei giorni precedenti avevo sognato quel momento, ci avevo pensato molto. Quando poi è successo ho avvertito un senso di completezza. Non so spiegarlo bene, ma è così».
Si sente obbligata a ripetersi?
«Non sento pressioni, le sensazioni sono buone. Punto a dare il massimo in ogni gara. Questa è l’unica cosa che conta davvero».
Lei è una che accetta le sconfitte?
«Quelle fanno bene, si impara. Ma è il pensiero della vittoria che mi fa andare avanti. Ho sempre avuto questo spirito. Non voglio perdere mai. Se da bambina perdevo una partita a carte con mio padre facevo le scenate, o se perdevo una partita a pallavolo…».
L'ultima vittoria, il secondo posto a Solitude, Usa.
E ora?
«Non faccio più le scenate».
Beh, ha fatto progressi…
«Devi imparare a perdere, perché sono più le volte che perdi nella vita. Nelle sconfitte stai lì a rivedere ogni singola virgola, a capire, migliorare. Analizzi tutto».
È così che si entra nella Storia dello sport?
«Il mio è un bel risultato, una cosa che resterà. Ne sono felice. Ma adesso ci sono tante sfide davanti a me e voglio provare a raggiungerle».
I mondiali e le Olimpiadi?
«Le Olimpiadi sono una grande manifestazione che ogni atleta sogna di vincere, ma se non fai medaglia lì non è detto che tu non sia forte. Non è il chiodo fisso. Però i Giochi sono un sogno, ci penso, mi immagino lì che scendo dalla pista…».
Ha mai invidiato un po' atlete come Pellegrini o Cagnotto?
«Invidiato no, l'invidia è una brutta cosa. Le ammiro, questo sì. Tania la vorrei conoscere. Credo abbia tante cose da dire come persona, come atleta».
E Sofia Goggia? Bergamasche vincenti.
«La conosco, siamo amiche. Nell'ultimo periodo non l'ho vista molto, è stata incasinata diciamo (e ride, ndr). Quando riusciamo ci alleniamo anche insieme e per certi aspetti ci assomigliamo».
In cosa?
«Abbiamo lo stesso carattere bergamasco. Un po' rozzo, aggressivo, cattivo. Non facciamo uno sport per signorine. Ma non perdiamo la nostra femminilità, questo no».
Vi aiutate?
«Se c’è una difficoltà sì. Siamo uscite qualche volta, è bello avere una collega, una che sa com'è l'ambiente, questo mondo. Non è come parlare con un'amica, è diverso».
Tutte donne, lei come se lo spiega questo boom meraviglioso?
«Abbiamo una marcia in più. Non tanto a livello fisico, è più una questione mentale».
Michela con la coppa del mondo.
Riesce a pensare mentre gareggia?
«In gara vivo uno stato di concentrazione strano, tutto quello che è all'esterno non ti intacca e tu riesci a fare le cose senza starci a pensare. È una cosa che viene in automatico».
In automatico è arrivato anche l’amore per questo sport? Come si sceglie?
«Non l’ho proprio scelto, mi ci sono trovata. Avevo otto anni. La prima gara ai campionati Allievi ha avuto la sua importanza. Ma non pensavo di arrivare fino a questi livelli. Anche se ci speravo, speravo di poter trovare uno sport per essere vincente».
La vittoria della coppa l’ha cambiata?
«Alle interviste ormai sono quasi abituata. Mi fa molto piacere, soprattutto perché in molti si sono occupati di questo sport».
La notorietà le piace?
«Per certi versi sì. In alcune situazioni però è stata un problema. Esempio: se ho voglia di andare a cena con il mio fidanzato e il cameriere mi riconosce la mia serata cambia. Una volta alla festa di paese stavo mangiando, lo speaker dice che c’è un’atleta tra noi, e tutti si girano a guardarmi. Io mi imbarazzo…» (ride, ndr).
È timida?
«Ho le mie timidezze».
Sofia Goggia e Michela Moioli, le due campionesse bergamasche.
Come si immagina tra qualche anno?
«Mi piacerebbe fare la mamma, avere una famiglia. E poi mi piacerebbe molto curare l’aspetto della preparazione atletica. La parte psicologica è un po’ più complicata».
Cos’ha di bergamasco?
«Ah beh, l’accento. E non voglio perderlo, sono fiera. Anche se mi prendono in giro. E poi mi piace la cucina bergamasca. Non andrò mai via da questa città, non mi interessa se non è il posto più figo al mondo. Sto benissimo nella mia valle. Alzano non è il centro del mondo, non ci sono turisti, ma si sta benissimo».
Non le piace viaggiare? Lo snowbaord le ha dato la possibilità di vedere il mondo.
«No, non mi piace. È uno dei miei difetti. Faccio fatica, tutte le volte è abbastanza pesante. Ma voglio vincere e questo mi sprona. E poi l’aereo… Ci sto lavorando con un mental coach perché fa tutto parte della gara, del gestire i viaggi, l’aereo. Per andare forte devo saper gestire tutto. Ma per ora ho risolto con una pastiglietta prima del decollo».