Oggi compie 75 anni

A Mina, che è tante cose insieme e con tutte ci ha cambiato la vita

A Mina, che è tante cose insieme e con tutte ci ha cambiato la vita
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Mina compie 75 anni. Una vecchietta, verrebbe da dire se si seguissero gli standard di quando lei (e noi) eravamo giovani. Un’anziana signora, di quelle che vanno in crociera e poi le ammazzano, nei termini di oggi. Ma neanche questo va bene. Le persone che lasciano un segno hanno sempre l’età in cui lo hanno lasciato, anche se questa età si è prolungata immobile per anni. Quando Mina ha deciso di scomparire dalla televisione era la stessa - o appena più matura, ma solo appena - di quando prendeva la Tintarella di Luna, si passava le dita sul labbro per mandare in alto Le mille bolle blu, scendeva a vedere Una zebra a pois che le aveva portato uno strano marajàh vecchio amico di papà. Una Mina surreale, quella di queste canzoni.

Ma ne esistono anche altre. La Mina dialettale, ad esempio, di Munasterio ‘e Santa Chiara o di Ma se ghe pensu. La cosa bella è che, parlando con napoletani e genovesi di questi pezzi, ci siamo sempre sentiti dire che è strano, ma canta proprio come se fosse di qui, come se non fosse di dov’è lei.

 

 

Poi c’è la Mina di Brava, quella che duetta con Caterina Valente per vedere chi delle due è meglio. E la svizzerotta è bravissima e simpatica (molto), ma ha una voce fondamentalmente standard. Stupendamente standard, ai vertici dello standard europeo, eccezionalmente ampia e perfetta. Ma Mina è un’altra cosa. Parafrasando Gertrud Stein su Picasso, la ragazza di Cremona poteva cantare tutto: ha cantato il Brasile (La banda), ha cantato Lucio Battisti, Gino Paoli, Tony Renis e Maurizio Costanzo. E Celentano. E Fabrizio de André. E Giorgio Calabrese («… e sottolineo se», ricordate?). E Nino Ferrer (Un anno d’amore, che una ragazza mi disse che c’aveva i solchi, quel disco, tanto lo aveva fatto girare) e altri ancora, sempre imprimendo ai loro pezzi un tono e uno splendore nuovo e di solito impensabile. Provate a mettere a confronto Grande Grande Grande nell’originale di Tony Renis con la versione di Mina e sentirete l’abisso che separa il primo dalla seconda.

Ha detto di lei un personaggio importante che la sua caratteristica consisteva nel fare della sua voce uno strumento orchestrale. Era più una musicista (una vera musicista) che una cantante, ha detto. Con questo volendo esaltarla - e non diminuirla - come interprete. Della quale verrebbe da precisare che non era uno strumento - come ricordato sopra - ma che si poneva, caso unico dalle nostre parti, come il punto di fusione degli armonici dell’orchestra. Non aveva - non ha - solo una voce potente, ampia, modulata. Ha una voce che raccoglie tutta la musica che c’è in giro in un dato momento in un dato luogo. Solo Peppino di Capri quando suona il pianoforte con altri due o tre produce lo stesso effetto. Sono fenomeni strani, tipo Louis Armstrong o Billie Holiday.

 

 

Si è detto, all’inizio, che le persone che lasciano un segno arrestano il tempo, bloccano l’immaginario come in un flash. La cosa è vera anche all’inverso, ossia per chi è segnato. Possiamo invecchiare quanto vogliamo ma la percezione irriflessa che abbiamo di noi rimane ferma al momento, agli anni, in cui dapprima ci siamo accorti di esistere. Per questo gli anzianotti continuano a precipitare in montagna: perché si pensano ancora ventenni e invece il tempo è passato anche per loro.

Mina dunque - anche per quelli che l’altra sera hanno seguito Vespa che a Porta a Porta faceva il Mina Revival spiegando la sua vicenda a non sappiamo chi, perché noi che aetatem habemus come il famoso cieco ne sapevamo molto più di lui, perché c’eravamo la sera di sabato in cui lei, Gaber e Celentano furono presentati come Urlatori al Musichiere. E non solo: c’eravamo anche a sentire le sigle di Studio uno (zuuum zum zum zum zúm) e compagnia cantando - Mina, dicevamo, è Il cielo in una stanza e tutte le altre che abbiamo ballato con le nostre compagne (o i nostri compagni) nelle feste di classe prima del Piper e di Patty Pravo (ma anche durante e dopo) e prima delle discoteche. È difficile separare le sue canzoni dal profumo che avevano quelle ragazze vestite bene, dalla memoria dei loro corpi timidi o abbandonati, dalle loro vite e dalle loro manine (al tempo non erano tutte delle stanghe come oggi), dalle parole senza seguito (o anche con seguito, perché no?) che ci siamo detti e che sarebbero magari risorte anni dopo quando, come cantava Luigi Tenco nello stesso flash, lontano lontano nel mondo una sera, parlando con altri, ad un tratto chissà come e perché ci siamo trovati a parlare di lei. O di un’altra, magari. Di un amore - o di amori - bellissimi ma ormai troppo lontani (ma chi l’ha detto, questo?). Svaniti come Marinella nel fiume del tempo, brillanti nel cielo come stelle quando il cielo è sereno. Quando le stanze non hanno più pareti, i soffitti viola non esistono più e poi cos’altro capita? Niente. Zitti: voglio sentire Mina.

 

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