Chi era don Pierino Gelmini
Don Pierino Gelmini è morto martedì 12 agosto nella casa di Molino Silla di Amelia (Terni), la sede centrale della Comunità Incontro, assistito dai «suoi ragazzi» che per anni ha aiutato a uscire dalla tossicodipendenza. Affetto da varie patologie e da demenza senile, don Gelmini era malato da tempo e non si muoveva più dalla sua camera. Negli ultimi due anni accanto a lui, giorno e notte, si sono alternati due ragazzi rumeni e un costaricano. Sul sito web della comunità campeggia una grande foto con la scritta “Ciao Don”, perché così si faceva chiamare dai giovani che in tutto il mondo trovavano in lui e nelle sue strutture un aiuto per uscire dalla droga o dall'alcol.
La Comunità Incontro, di cui don Gelmini è stato fondatore, ha oggi 164 sedi residenziali in Italia e 74 sedi in altri Paesi, come Spagna, Francia, Svizzera, Slovenia, Croazia, Thailandia, Bolivia, Costa Rica, Brasile, Stati Uniti (a New York) e Israele (Gerusalemme). In Italia può contare su 180 gruppi d’appoggio sparsi da Nord a Sud, impegnati anche nella lotta alle ludopatie. Una realtà internazionale che vanta un seggio all’Onu come organizzazione non governativa, guidata da un comitato direttivo voluto proprio da don Gelmini.
Pietro Gelmini era nato a Pozzuolo Martesana (Milano) il 19 gennaio 1925 (ma registrato il giorno successivo). Studente prima dai salesiani poi dai gesuiti, viene consacrato sacerdote il 29 giugno 1949 nel Duomo di Grosseto. Per dieci anni è parroco in zone povere e di miniera. Chiamato a Roma come Assistente delle Acli, gli viene in seguito affidato il compito di segretario del nuovo ''Cancelliere di Santa Romana Chiesa'', il cardinale Santiago Luis Copello, Arcivescovo di Buenos Aires, primo prelato latinoamericano di lingua spagnola insignito della porpora.
Nel 1963, la decisione di dedicarsi al recupero di vittime di droga, alcol e altre dipendenze. La svolta della sua vita è stato l’incontro, il 13 febbraio del 1963, con un tossicodipendente, Alfredo Nunzi, sui gradini della chiesa di Sant’Agnese, in piazza Navona a Roma. «A zi’ prete, damme ’na mano», gli disse il giovane, per poi aggiungere: «Nun vojo soldi. Nun vedi che sto male?». Alfredo venne accolto in casa da don Pierino, che da quel momento cominciò il suo impegno con i tossicodipendenti.
La prima comunità venne aperta a Roma, all’Infernetto, vicino a Casal Palocco. Nel settembre del 1979 il trasferimento alle porte di Amelia, dove c’era solo un molino diroccato. Quella che era chiamata la valle delle streghe – scrive il sito de La Stampa - venne ribattezzata la "valle della speranza". Don Gelmini aveva infatti il sogno di assistere i suoi ragazzi in un posto accogliente dove poter uscire dal tunnel della dipendenza attraverso quella che lui chiamava la “Cristoterapia”. Oggi, Molino Silla è la casa madre e il centro operativo della Comunità.
Il 24 febbraio 1982, la Comunità Incontro si costituisce, con atto notarile, come ''Libera Associazione per l'assistenza ai tossicodipendenti, alcolisti, anziani, portatori di menomazioni psichiche e fisiche e a quanti siano emarginati, abbandonati od in particolari condizioni di necessità''. Centri sorgono in Spagna, Grecia, Croazia e anche in Terra Santa. La genialità di don Gelmini non sta nell’applicare una tecnica, ma nel basare il recupero dei ragazzi sul rapporto umano, trasmettendo se stesso, la sua intelligenza, la sua fede, la sua educazione. Col tempo quella forma di rapporto è diventata metodo e si è diffusa nel mondo raggiungendo decine di migliaia di ragazzi.
Insignito nel 1988 del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita, don Pierino diventa sempre più noto. Nel 1990 si offre come cavia per testare su di sé il vaccino anti-Hiv. Nel 1993 conduce una serie di trasmissioni televisive, alla Rai, "Rock-Cafe". Il 14 giugno 2000 è nominato Presidente dell'Osservatorio sociale per la promozione delle politiche giovanili e del volontariato della Provincia di Roma. E il 20 ottobre Giovanni Paolo II riceve in piazza San Pietro 30mila rappresentanti della Comunità Incontro e tiene un discorso con cui riconosce ufficialmente la ''Cristoterapia'' come metodo di recupero dall'emarginazione e dalla droga.
Negli ultimi anni don Gelmini è stato però al centro di una complessa inchiesta giudiziaria coordinata dalla procura Terni, accusato di avere molestato sessualmente otto ex ospiti della Comunità, due dei quali, all’epoca dei fatti (tra il 1999 ed il 2004) minorenni. Addebiti ai quali don Pierino si è sempre proclamato estraneo, rivendicando con fermezza e vigore la correttezza del suo comportamento. Per difendersi al meglio nel processo, nel marzo del 2008, ormai prossimo al suo 59/o anno di sacerdozio, chiese e ottenne da Papa Benedetto XVI di essere ridotto allo stato laicale.
Due anni dopo Pietro Gelmini è rinviato a giudizio. Il processo prosegue a singhiozzo perché nel frattempo l’ex sacerdote si ammala. Il primo luglio scorso il dibattimento a suo carico era stato sospeso dopo che una perizia disposta dai giudici aveva accertato come non fosse in grado di «partecipare coscientemente» al processo. La prossima udienza si sarebbe dovuta tenere il 4 marzo 2015.
Nella notte fra martedì e mercoledì Pierino Gelmini se ne è andato. Accanto a lui c’erano i più stretti collaboratori e con loro, anche se a distanza, altre migliaia di persone convinte della falsità delle accuse contro il «don» e unite dallo smarrimento per la perdita di una guida sicura. “Don Pierino uno di noi” ripetevano spesso i suoi ragazzi, che lo ricordano come un padre esigentissimo, grande conoscitore dell’animo umano, attentissimo alla persona e al suo benessere. «Don Pierino non concedeva scuse, insegnava a non retrocedere mai e a non fermarsi davanti a un limite. Con lui uno riscopriva il valore di se stesso», dice Stefano Masci, uno dei figli bergamaschi di don Gelmini, impegnato nel mandare avanti una comunità in Costa Rica.
«Ciò che oggi è strano – scrive Masci in un breve ricordo inviato al nostro sito – non è il dolore per la sua morte, ma l’improvvisa e dolorosa coscienza delle sofferenze che don Pierino ha patito. Sette anni di calvario lungo i quali credo abbia sperimentato tutti i livelli del dolore, e chiaramente non mi riferisco solo alla malattia. “Quanto ha sofferto” è la frase che continua a girarmi in testa e che non arresta il pianto; il perché è un mistero e probabilmente non saprò mai come sono andate le cose. Resta lui così com’è, uno che ti insegnava qualcosa anche mentre beveva un bicchier d’acqua o quando prendeva decisioni fuori da qualunque nostra logica. Ti spiazzava sempre, nel bene e nel male, ma mai gli ho visto commettere un errore di giudizio sulle persone. È lui che mi ha insegnato una vita non più da tossico, è lui che - dieci anni dopo - ci ha inviato in missione, è in lui (l’ho capito fino in fondo grazie a don Giussani) che ho riconosciuto la convenienza dell’amicizia di Cristo».