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Nato a Parigi in un giorno di pioggia La grande storia del mitico K-Way

Nato a Parigi in un giorno di pioggia La grande storia del mitico K-Way
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È un pomeriggio piovoso del 1965 a Parigi e seduto ad un tavolino del Cafè de la Paix, locale storico dell’XI arrondisment aperto nel 1862, Leon-Claude Duhamel, proprietario di un’azienda famigliare che produce pantaloni, sta osservando i movimenti caotici dei passanti sotto la pioggia, impacciati per via degli scomodi impermeabili e dei grossi ombrelli. Ad un certo punto transita una signora vestita di una giacca di nylon rosso e Leon-Claude si appunta qualcosa. L’idea venuta in quel momento all’imprenditore francese è di quelle geniali: progettare un indumento antivento e antipioggia che fosse più comodo di un impermeabile e meno ingombrante di un ombrello. Accorgimenti successivi fecero in modo che questo capo d’abbigliamento potesse essere chiuso, tutte le volte che si voleva, all’interno di una tasca-marsupio: nacque così il K-Way. Si tratta di un capo realizzato con nylon speciale, difficilmente sgualcibile, che occupa pochissimo spazio e che diventa una sacca, pratica per essere portata ovunque (il K-Way, tipicamente blu, è inoltre dotato di bottoni, cerniere zip, tasche e cappuccio).

 

[Il primo spot televisivo del K-Way, 1971]

 

Il nome. Il nome lo si deve a Jean Castaing, il pubblicitario dell’azienda, convinta da Duhamel a puntare sul suo progetto. La Castaing trovò il giusto mix tra la richiesta francese di chiamarlo “En cas de” (in caso di) e il taglio americano che si voleva dare ai capi d’abbigliamento dell’epoca per ottimizzare l’aspetto commerciale. Si optò così per K-Way, dove la “k” ricorda il suono di “cas” mentre “way” era il tocco statunitense necessario a renderlo appetibile sul mercato. La campagna pubblicitaria fu subito positiva: dopo aver scritto sui cartelloni pubblicitari che si poteva ordinare nei negozi sportivi il nuovo funzionale indumento, Duhamel e soci vendettero 250mila capi, iniziando a trattare cifre molto alte con i commercianti e firmando negli anni ’70 e ’80 contratti con diverse squadre sciistiche per fornire loro il materiale necessario.

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La pubblicità del K-Way del 1975

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Pubblicità del K-Way 1982

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Una pubblicità del K-Way degli anni '80.

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La pubblicità del K-Way per i 40 anni del marchio, nel 2005.

Il K-Way oggi. Nel 1992 il marchio venne acquistato dalla Pirelli perché, come rivela Duhamel, «avevano un piano di sviluppo internazionale ed eravamo convinti che avrebbero portato il K-Way in tutto il mondo». Ma in realtà il brand perse valore e venne venduto prima alla banca d’affari So.PA.F. e in seguito alla società milanese Multimoda Network. La svolta avvenne nel 2004, quando Marco Boglione, proprietario tra gli altri del marchio Robe di Kappa, rilevò il brand, facendolo entrare nel gruppo BaiscNet, una holding quotata in borsa che si occupa del rilancio di marchi dell’abbigliamento italiano, fornendo servizi di analisi e sviluppo del prodotto. Da indumento rivolto esclusivamente ai negozi sportivi, BaiscNet ha fatto in modo che K-Way, con qualche accorgimento tecnologico, potesse adeguarsi anche al mercato dell’abbigliamento in generale, così come fatto già in precedenza da Moncler con i suoi piumini.

 

[L'ultimo spot della linea Furbe della K-Way, 2015]

 

L’esperimento riuscì perfettamente: ad oggi infatti K-Way vanta 26 negozi monomarca sparsi per il mondo, dalla Malesia agli Stati Uniti, passando per la Russia, il Canada, Taiwan e la Corea del Sud, e 15 soltanto in Italia. Non solo lo storico “giubbotto impacchettato” antipioggia ed antivento, ma un’intera gamma di prodotti messi a disposizione del cliente - come detto da Boglione: «Oggi il nostro prodotto è vincente per l’ottimo rapporto tra qualità, stile e prezzo ragionevole» -. Soltanto nei primi mesi del 2015, le vendite del marchio K-Way sono cresciute del 32,8 percento, arrivando a rappresentare circa il 10 percento del fatturato complessivo di BaiscNet; in Italia c’è stato un incremento del 20,9 percento delle vendite nell'anno in corso. Numeri che hanno strabiliato anche l’ormai anziano Duhamel, il quale, durante una visita alla sede centrale di Torino della BaiscNet, ha affermato: «Non mi sarei mai immaginato un successo del genere. Veder rivivere il vecchio logo mi rende fiero».

[Il sorriso di Leon-Claude Duhamel oggi]

Leon-Claude Duhamel oggi

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