Non solo abbracci, grazie
Un altro abbraccio? No, per favore, non esageriamo. Manteniamo un’opportuna e, dato il caldo, igienica distanza di sicurezza. Perché questa storia degli abbracci comincia a togliere il fiato. Passi per l’abbraccione da Guinnes alle Mura Venete, che dovrebbe servire per far entrare Bergamo nel patrimonio dell’Unesco, ma che adesso, dopo la rissa avvenuta nei giorni scorsi che ha visto coinvolti alcuni immigrati, si proponga la riconquista del Piazzale degli Alpini con una raffica di “stringi tu che stringo anch’io”, ci sembra francamente fuori luogo. Andiamo lì, ci stringiamo a coorte, scattiamo un selfie, lo postiamo su Facebook, e poi?
Sarà anche per una questione generazionale o per una forma mentis (definitela pure ristretta), ma a noi queste mode improvvise e sentimentali non è che ci garbino tanto. Chi ha una certa età ha avuto l'esempio di nonne che quando i loro mariti (a tempo indeterminato) abbozzavano una carezza sul viso, reagivano con un bramito sommesso: “Sét dré a fa”, che era come dire: stai al tuo posto. Certo, il mondo è cambiato, i giovani sono più spontanei, entusiasti, affettuosi, ma da qui a cingerci una domenica sì e l'altra pure col primo che passa, ce ne corre. E poi, al Piazzale degli Alpini dovremmo abbracciarci tra di noi o abbracciare anche quelli che sono lì accampati? E alla fine cambierà veramente qualcosa?
Il problema cui questa iniziativa simbolica vorrebbe dar risposta c'è ed è serio. Sono decenni che Bergamo cerca di riprendere il controllo dell’area della stazione. Le ha tentate tutte, installando telecamere, ristrutturando edifici e pensiline, impiantandoci uffici di rappresentanza e sedi di associazioni prestigiose, organizzando eventi, aumentando i controlli da parte delle forze dell’ordine e pure, alcuni anni fa, mandando in avanscoperta qualche ronda senza arte né parte. Niente da fare. Quello che adesso si chiama disagio o degrado ha stabilito lì il suo quartier generale e nessuno è ancora riuscito a risolvere la situazione. L’unica differenza fra prima e adesso è che oggi la maggioranza di centrosinistra si difende e la minoranza di centrodestra attacca: invertito l’ordine dei fattori, il risultato non è cambiato.
Il fatto è che nella terra di nessuno intorno alla stazione vivono, vivacchiano, sopravvivono decine di immigrati che si aggirano come fantasmi, alcuni dei quali hanno scelto le scorciatoie dello spaccio e del furto. Non hanno casa, né prospettive, né un lavoro. Difficilmente li avranno in futuro. Indietro non possono tornare e avanti non sanno né dove né come andare. E a rendere più complicato il quadro, in questi mesi stanno scadendo i permessi provvisori ad altre centinaia di profughi arrivati dal mare, gran parte dei quali non otterrà l'autorizzazione a rimanere nel nostro Paese: dove pensiamo che vadano a finire? Se ne stanno prendendo cura don Davide e don Fausto del Patronato San Vincenzo, ma ormai anche il Patronato scoppia, perché sono sempre di più.
Immaginare di affrontare un’emergenza sociale come questa e di riprendersi un pezzo di città con degli abbracci è un’illusione borghese. Forse, per il bene di tutti, e in attesa di trovare la giusta chiave, più che avvinghiarsi l’un l’altro al Piazzale degli Alpini, sarebbe il caso di "abbracciare" il Patronato, offrendogli una mano concreta, che significa nuovi spazi, soldi, sostegno, ma soprattutto occasioni di lavoro per questi ragazzi. Qualcosa che non valga solo la domenica, ma per tutti i giorni della settimana.