Ortelli, il ciclismo eroico e onesto

È morto Vito Ortelli. Aveva 95 anni, era il più vecchio corridore ad aver indossato la maglia rosa e a essere salito sul podio del Giro d’Italia. Corse (tra le altre) per la Bianchi, l’Olympia, l’Atala, in breve tempo diventò un’icona su strada e in pista. Duellò con Coppi e con Bartali, accontentandosi di godersi un ciclismo eroico e mai bugiardo. Nato a Faenza il 5 luglio del ’21, Ortelli aveva lo stile tipico dei romagnoli: la battuta pronta, il sorriso lungo, disegnato come un tratto di matita colorata e l’inguaribile passione per le due ruote.
Da Vedrai che uno arriverà
di Alessandra Giardini e Giorgio Burreddu
La prima volta che si era trovato a correre contro il futuro Campionissimo, Vito Ortelli aveva diciannove anni ed era una stella fra i dilettanti. Gli avevano già preso le misure per la maglia della Nazionale, ma quelle Olimpiadi non si fecero mai perché intanto era scoppiata la guerra. Mussolini si unì al conflitto contro Francia e Gran Bretagna il 10 giugno 1940. Il giorno avanti Coppi, a vent’anni e nove mesi, aveva vinto il suo primo Giro d’Italia. Negli anni della guerra Ortelli si dovette accontentare di correre, e spesso di vincere, sulle strade di casa: arrivò davanti a tutti quattordici volte su diciassette, e quasi sempre per distacco, così che cominciarono a chiamarlo «il Binda dei dilettanti».
Ortelli e Bartali.
Il 10 novembre del '40 lui e un altro giovane emergente, Fiorenzo Magni, furono invitati al Giro della Provincia di Milano, una corsa per professionisti alla quale erano ammesse anche due coppie di dilettanti. Si correva una cronometro di cento chilometri seguita da due prove su pista. Magni-Ortelli arrivarono secondi nella crono su strada poi, batterono tutti i professionisti sulla pista del Vigorelli. Compresi Bartali in coppia con Favalli e Coppi assieme a Ricci. Quel giorno, per la prima volta, il giovane Ortelli si trovò faccia a faccia con il mito. Ma il mito non era Coppi: l'emozione violenta gliela diede la pista magica, quella che fa volare soltanto i corridori dotati di talento. Se non hai classe, dicono, al Vigorelli pedali nel vuoto. Ortelli la classe l'aveva e andò più forte dell'altro mito, quello che stava nascendo: Coppi, appunto. Un campione che avrebbe spaccato l'Italia, che l'avrebbe resa più forte e più moderna. E che un giorno, troppo presto, l'avrebbe lasciata disperata. Intanto, in quel pomeriggio di novembre del '40, con la guerra sotto casa, Ortelli andò più forte di lui. Doveva succedere ancora, e ancora...
Non che si fosse fermato tutto, negli anni di guerra. Però il Giro d’Italia si era trasformato, lo vinceva chi otteneva più punti nelle varie corse in linea della stagione, dalla Milano-Sanremo fino al Lombardia. Si correva in pista, appena si poteva. Ma molti dei campioni, Coppi e Ortelli compresi, erano dovuti partire per la guerra. Fausto era finito in Africa, dove era stato fatto prigioniero. A Vito era andata meglio: lo avevano mandato in Croazia, e lì era diventato amico di un altro atleta romagnolo, il calciatore Edmondo Fabbri.
Nell’agosto del ‘45 Coppi e Ortelli si ritrovarono uno contro l’altro al Motovelodromo di Torino, dove si correvano i campionati italiani su pista. Ortelli, a dire la verità, aveva rischiato di non arrivare: aveva fatto il viaggio seduto su una camera d’aria in un camion che trasportava maiali, e quando era scoppiata una gomma si erano dovuti fermare per ore. Lo avevano scaricato a venti chilometri da Torino, e aveva raggiunto il velodromo in bicicletta, arrivando appena in tempo per gareggiare. Il sorteggio lo mise di fronte in semifinale proprio a Coppi, e Biagio Cavanna, il massaggiatore del campione piemontese, promise ventimila lire al direttore sportivo di Ortelli, Graglia: Vito avrebbe semplicemente dovuto perdere, così Coppi sarebbe arrivato fresco alla finale. Graglia accettò, ma non disse niente a Ortelli. Evidentemente pensava che avrebbe perso comunque, e in quel modo si sarebbe tenuto lui le ventimila lire. Invece Ortelli ce la mise tutta, partì con un ritmo infernale, e Coppi, che certo non se l’aspettava, prese subito diversi metri tanto che non riuscì più a recuperarli: in finale ci andò il romagnolo, che batté anche Leoni e diventò campione italiano. Più tardi, uscendo dal velodromo, Ortelli vide Coppi che caricava la bicicletta sulla macchina di alcuni amici e lo salutò. Ci rimase male quando Fausto non gli rispose, ma ci volle tempo perché capisse come mai.
Un anno più tardi, le corse in bicicletta sono un segno che la vita ricomincia. È appena finito il Giro d’Italia: primo Bartali davanti a Coppi, ma Ortelli ha vinto una tappa (la Ancona-Chieti, staccando guarda caso Bartali e Coppi sull’arrivo in salita), è stato cinque giorni in maglia rosa, ed è diventato per tutti il terzo uomo. Infatti è arrivato sul podio, nonostante la pertosse che lo ha tormentato per almeno due terzi della corsa. È l'11 agosto 1946. Poche ore prima a Parigi, al Palazzo del Lussemburgo, Alcide De Gasperi ha tenuto il discorso sulla pace che rimarrà nei cuori. In Italia si pensa a ricostruire, a tornare alla normalità. Al Vigorelli le tribune sono piene, dovrebbero tenere tredicimila spettatori ma stavolta sono molti di più: si corre il campionato italiano dell’inseguimento, è un anno che Coppi aspetta la sua rivincita in pista. La finale, neanche a dirlo, è Coppi contro Ortelli. Il romagnolo è il campione in carica. Coppi è Coppi. Per accontentare tutti, gli organizzatori hanno messo spettatori a sedere anche sul prato, ma appena il duello parte si alzano tutti in piedi e Coppi e Ortelli sono costretti a correre senza vedere che cosa sta succedendo dall’altra parte della pista. L’unico segnale che hanno è il boato della folla, Ortelli passa sotto le tribune e vede la gente esultare, e non capisce. Meno male che c’è il solito linguaggio in codice concordato con il suo direttore sportivo: Ferrario lo aspetta vicino alla linea d’arrivo, se Ortelli è in vantaggio camminerà nel suo stesso senso di marcia, se è in ritardo gli verrà incontro. Ma quando Ortelli vede Ferrario camminare tutto il tempo nel suo senso di marcia, pensa soltanto che il suo direttore sia impegnato a fare qualcos'altro. Non può certo credere di essere sempre in vantaggio.
Almeno finchè non alza gli occhi. Non è possibile, quella è la schiena di Coppi. Boia, la schiena di Coppi. A quel punto Ortelli moltiplica le forze, raduna intelligenza tattica e riflessi pronti, acume e coraggio. Il legno lucido scintilla sotto i riflettori, i tubolari fanno un rumore sordo sulle tessere del parquet, le tribune ululano meraviglia. Boia, la schiena di Coppi. Quando suona la campana, Ortelli capisce di avere vinto, un’altra volta: Fausto è staccato di settanta metri, e la pista magica del Vigorelli ha fatto il suo dovere, la media finale è di 46,059 chilometri l’ora. La gente è tutta in piedi, urla e si sbraccia e batte le mani, c’è un campione italiano da festeggiare. Ed è ancora una volta Vito Ortelli.
Ci vorrà altro tempo perché il campione romagnolo capisca finalmente da dove nasce il risentimento di Coppi nei suoi confronti. Succede al Giro d'Italia dell'anno dopo. Un tifoso lo prende in pieno con un secchio d'acqua e lo fa cadere: Ortelli deve farsi steccare un polso, è costretto a correre la seconda metà del Giro con una mano sola. Sapendo che ormai è fuori classifica e non può più vincere, Vito accetta la proposta di Servadei e Vicini, che gli vanno a chiedere di dare una mano a Coppi. Quando vanno da Fausto a riferirgli del patto, apriti cielo. «Ortelli? E volete che io mi fidi di lui dopo quello che mi ha fatto due anni fa a Torino?». Prima o poi si doveva arrivare alla verità. Succede in quella stanza di albergo di metà Giro: Ortelli va a chiamare anche il suo vecchio direttore sportivo, Graglia, arriva a minacciarlo di buttarlo dalla finestra per farsi dire tutto. E allora ecco che salta fuori la faccenda della proposta di Cavanna, delle famose ventimila lire e tutto il resto. Ecco spiegato perché Coppi da allora faceva fatica a salutarlo: pensava che Ortelli lo avesse preso in giro. Ma Fausto aveva le sue colpe: aveva comunque pensato di comprarlo.
Con due anni di ritardo i rapporti fra i due rivali ridiventano normali, quasi amichevoli. Quanto all'altra faccenda, quella del mito, Ortelli non ci aveva mai fatto tanto caso. Ci correva sopra ogni volta che lo chiamavano al Vigorelli, tutto qui.