Parla un ex senzatetto di Bergamo: «Siate almeno gentili con chi vive per strada»
Dopo una relazione fallita e un’altra sbagliata ha perso tutto: «Sei solo come un cane, invisibile e finisci a pensar male di tutti»

di Andrea Rossetti
«Per me, il momento peggiore era il Natale. Vedi tutti contenti, gioiosi, e tu sei solo come un cane, senza niente. Sotto le feste capitava che in stazione arrivasse qualcuno a offrirci un panettone, cinque euro o dei vestiti. E io mi arrabbiavo. È un bel gesto, ma mi chiedevo: “E il resto dell’anno dove sei? Da domani tornerai a non guardarmi, a pensare solo a te stesso. Oggi vuoi solo pulirti la coscienza”. Vivere per strada ti porta a pensare male di tutto e di tutti, soprattutto perché vedi davvero l’egoismo della gente».
Francesco (nome di fantasia) ha 48 anni. A Bergamo ci è nato e cresciuto e conosce bene la città. Anche le sue ombre. Per due anni ha fatto la vita del senzatetto e ne porta ancora oggi, quattro anni dopo, le cicatrici emotive. È uno dei pochi che è riuscito a rialzarsi, a ricostruirsi un’esistenza un mattoncino alla volta. Un processo lungo, faticoso, che è ancora in corso. «Oggi ho uno stipendio e una casa, però le spese sono tante e pago ancora gli errori del passato. Sopravvivo, diciamo. Ma sono contento così».
La discesa negli abissi
Francesco lavorava a Milano come soccorritore stradale. Aveva una compagna e un figlio. Poi, purtroppo, le cose non andarono bene. «Per dodici anni non ho più voluto avere relazioni - racconta il 48enne -. Ero rimasto troppo scottato. Finché, a Milano, non ho conosciuto un’altra donna. Mi sono innamorato. Peccato che ho poi scoperto che lei era una tossicodipendente. Iniziai a vivere in funzione delle sue esigenze, delle sue richieste, dei suoi bisogni. Ero cieco e sordo a ogni tipo di allarme che mi veniva lanciato da amici, familiari, colleghi. Litigai col mio capo. Oggi so che voleva aiutarmi, ma allora vivevo le sue parole come un attacco. E mi licenziai. Ben presto, cercando di aiutare la mia donna, i soldi finirono. E i miei genitori, così come mia sorella e mio fratello, non avevano la minima intenzione di aiutarmi. È così che sono finito per strada».
La vita da senzatetto
Nessuna storia di droga, di alcol, di criminalità. Semplicemente una crepa di vita diventata un baratro. «Dormivo e vivevo in aeroporto - continua Francesco -. Non avete idea di quanti senzatetto ci siano lì. Ti puoi camuffare: basta un trolley e sei un viaggiatore come gli altri. Lì hai i bagni a disposizione gratis, riesci a mantenere un minimo di dignità. Ma puoi farlo per poco. Giustamente, la sicurezza dello scalo fa spesso controlli e le pulizie vengono fatte la mattina prestissimo, devi spostarti continuamente. Così, dopo un po’ di mesi, mi “trasferisco” in città. La stazione è l’epicentro di quella “non-vita”. Ho iniziato a bere più del dovuto. Ero arrabbiato: con me stesso, con le persone che avevo attorno. Per tirare a campare, accettai di fare dei lavoretti poco leciti. Lo dico subito: niente di grave, niente spaccio o altro. Comunque robe illegali. Sto ancora pagando le conseguenze di quegli errori, di cui mi assumo tutta la responsabilità».
La rabbia cieca
A ferire Francesco, però, era soprattutto il totale disinteresse di quelli che definisce «gli altri». Era invisibile e (...)
Bisogna essere più tolleranti con gli ultimi.... come diceva Umberto Tozzi in quella sua bellissima canzone..... gli altri siamo noi....