Perché non si riesce a smettere di guardare Brigitte Bardot
Qualcuno deve aver detto che la fama non si raggiunge quando la propria immagine campeggia sulle copertine dei rotocalchi, ma quando compare nel quadratino in alto dei cruciverba nelle ultime pagine dei quotidiani della sera.
Brigitte Bardot - nata a Parigi il 28 settembre 1934 - la fama l’ha raggiunta eccome. Tanti si son dati da fare per celebrarne il mito, lanciandosi negli esercizi di scrittura e di memoria in cui si tende a esibire, in occasioni come questa, una specie di primogenitura. Chi ha ricordato la storia con Roger Vadim, il “suo” regista (E Dio creò la donna, 1956; Gli amanti del chiaro di luna, 1958; A briglia sciolta, 1961; Il riposo del guerriero, 1962, e altri), chi il film La verità di Henry G. Clouzot, col quale sfiorò l’Oscar. Altri hanno voluto manifestare la propria competenza cinefila ricordando la particina di una giovanissima BB ne Le Grandi manovre di René Clair, dove appariva con un abitino rosso e bianco che pareva una tovaglia da picnic. Altri hanno sottolineato il suo impegno a favore dei cuccioli di foca o celebrato il suo ritiro a La Madrague, la villa di Saint-Tropez il cui cancello è rimasto ostinatamente chiuso per i tanti che ne hanno atteso l’aprirsi quasi fosse la porta del cielo. Quando un nostro “bellone”, Gigi Rizzi, ne conquistò il cuore per qualche settimana l’italico patriottismo erotico esaltò a tal punto l’evento da dar l’impressione che avessimo ottenuto un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Quante sono le sue biografie? Una valanga. D’altra parte, che ci posso fare – avrebbe detto una volta BB - se quelli vogliono scrivere? Mica glielo posso impedire. Come darle torto? Poi ci sono i nostalgici degli anni d’oro di St.Trop’ - i francesi hanno una inclinazione quasi genetica ad accorciare i nomi -, dove le ragazze andavano in giro col solo pezzo inferiore del bikini e una t-shirt «messa su con tale millimetrica precisione da far pensare che non avessero nemmeno quello», come scriveva Paolo Bugialli su La Nazione. Un altro mondo, rispetto al nostro.
Brigitte Bardot che ha prestato il seno alla Marianna, la statua che rappresenta la nazione francese. Anni dopo la stessa alta onorificenza toccherà a Laetitia Casta. Brigitte Bardot che incontra Picasso e gli chiede di ritrarla, ma lui risponde no, che ha già l’originale. Ci penserà Andy Warhol, a farle il ritratto. Queste sono le immagini da rotocalco. Ma a regalare al mondo la presenza imperitura di Brigitte Bardot non sono stati né Picasso né altri grandi del cinema o di diverse muse: lo ammettono tutti che BB non è stata una grande attrice.
È stato un cantante, Jorge Veiga, che a Copacabana, nel dicembre 1960, lanciò col concorso di una banda di fiati meravigliosamente sfiatati un irresistibile samba scritto da Miguel Gustavo per la felicità di chi è contento di essere felice e divenuto un successo mondiale l’anno dopo con l’etichetta della Barclay. Si intitola, manco a dirlo, Brigitte Bardot e in questi giorni fa da inevitabile sfondo ai servizi televisivi sull’80esimo compleanno della ragazza di allora. È un vero peccato che i francesi - i soliti francesi - si siano impossessati del testo stravolgendolo orrendamente. L’originale, un capolavoro assoluto, inizia raccontando quel che succede dentro un cinema quando si vede BB baciare qualcuno: il finimondo. E continua con una domanda finto-ingenua: ma com’è che todo el mundo si riscalda tanto nel vederti, BB? Sarà forse per i tuoi piedini? (niente affatto, risponde civettuolo il coro di ragazze), Sarà forse per il nasino? (niente affatto…), Sarà per la tua caviglia? (no…) Allora per il gomito, va avanti il ritornello prima di concludere, all’iterato diniego del coretto: ma allora, qualcuno me lo sa dire perché tutti vogliono continuare a guardarti? Già, perché?