Povero Dostoevskij sul Frecciarossa

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Povero Dostoevskij. Lo immagino oggi alle prese con il suo auspicato aforisma sulla bellezza salvatrice del mondo. Certamente di un altro, uno qualsiasi, uno che magari nessuno di noi avrà il bene di conoscere: non il nostro. Credo che usare il treno per spostamenti frequenti offra spunti di riflessione assai amara riguardo alle offese e agli insulti di cui ormai la greca Afrodite è fatta oggetto. E non parlo dei trenini del traffico pendolare sui quali lo squallore e il degrado regnano indiscutibili, dove il teppistello di turno è libero di devastare quel che gli pare e i delinquenti di ogni possibile etnia mettono in pratica la loro bravura. Queste sono terre mobili di nessuno: sedili rotti, bagni fuori uso, assenza di personale, terrorizzato e non a torto. Argomento che magari riaffronteremo ma che non ha  niente a che fare con il crollo della bellezza, di cui in certi luoghi non se ne ha più memoria.

Saliamo invece su uno di quelle fiammanti freccerosse, orgoglio nazionale e turgida fierezza del gruppo che le gestisce. Naturalmente prima classe, meglio: business salottino. Affiancato al capotreno. Ci si sente protetti e difesi da ogni e qualsiasi affronto alla propria tranquillità, specie quando spara attraverso altoparlante l'annuncio registrato dove si invita «ad abbassare il tono della voce e la suoneria del cellulare per non arrecare disturbo». Eppure la cosa puzza subito un po' perché la voce dell'annunciatrice proprio nel proclamare l'invito si alza di colpo. Per chi abbia ancora conservato la vecchia pratica dell'ironia è un momento di ilarità allo stato puro. Segno di tempi sguaiati e mancanza di buon senso assieme all'uso di formulette precotte e insulse del tipo: Trenitalia si scusa per il disagio. Quattro parole finte e di rito, ed è finita lì: questo è il classico caso in cui forma e contenuto sono vicini quanto Bolzano e Canicattì...

Ma torniamo al nostro lussuoso salottino: quattro belle poltrone bordeaux, spazio un pochino risicato ma ambiente bomboniera niente male. I guai iniziano a seconda del vicino o dei vicini che trovi. In genere uomini d'affari, gente piuttosto civile, qualche sbraitata al cellulare per far bella mostra coram populo della propria ottima posizione aziendale, comunque non troppo di più o di peggio. Ma se ti capitano due gentili signore che dal momento in cui inizia il viaggio fino all'arrivo non fanno altro che sghignazzare raccontandosi fatti piccantucci loro e di altri conoscenti, attivano il vivavoce a tutto volume per mettere al corrente in audio conferenza le amiche di turno e finiscono per esaltarsi dando la stura a un caraibico "pereppeppeppè"... beh allora si rischia di perdere la pazienza. Cosa del tutto inutile, perché la maleducazione ha i propri principi, non la scalfisci ed è inossidabile. Come l'ignorante il maleducato è fiero custode del suo stato. Amen.

Le coincidenze prevedono di scendere da un convoglio per prenderne un altro. Dovevo raggiungere il Salone del Libro di Torino e così ho fatto. Stesso salottino, dove in genere cerco e trovo la pace necessaria dato che non è il più gettonato dei posti in assoluto, per fortuna. Non credo dipenda dal costo, non così diverso dagli altri posti di prima classe. Ma perché in fondo la gente preferisce la promiscuità: forse me la sto solo inventando, ma chissà... Sospendiamo il giudizio. Per il lasso tra una stazione e l'altra il  mio sogno di tranquillità si avvera. Poi l'incubo, se possibile peggiore del precedente, non foss'altro che le signore di prima avrebbero perfino potuto essere di gradevole aspetto. Mamma e bimbo piccolo cinesi prendono possesso dell'intero scompartimento. Urla assordanti, moltiplicate ovviamente dall'uso del cellulare che ad ogni squillo faceva impallidire le trombe di Gerico, bambino a spasso ovunque e pronto a provare l'uso di qualsiasi tasto avesse a tiro. Generi alimentari sparsi dappertutto. Finalmente esausti, mamma e figlio si sono allungati per un sonnellino togliendo le scarpe. Io sono uscito come un razzo e ho trovato rifugio in un fantastico sedile di seconda classe. E i capitreno? Loro, come le stelle, stanno a guardare.

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