Profughi o fratelli non è lo stesso (Una casa come la mia da piccolo)

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L’altra sera un servizio della tele diceva che anche la Chiesa partecipa all’accoglimento dei profughi dalla Siria. Si riferiva all’appello del papa alle comunità parrocchiali, ai conventi e alle altre istituzioni.

Sarà. A me pare che la Chiesa stia facendo una cosa molto diversa. Sta invitando la gente - la propria gente, e altri che volessero unirsi - a prendersi cura di altra gente che sta male. La sta aiutando a capire che quando si ha davanti qualcuno che si trova in difficoltà è umano, prima ancora che doveroso, cercare di aiutarlo. In questo momento sono soprattutto siriani quelli che si trovano in difficoltà, ma si tratta di un fatto occasionale. Ci sono anche gli altri, in fondo. Ci sono ancora quelli dei barconi, anche se i giornali si sono buttati sui casi di Ungheria, Austria e Germania.

Sono cresciuto - nei miei primi anni - in una casa che mi pareva molto grande. C’erano molte stanze, con enormi armadi e letti eleganti. C’era sempre gente in quelle stanze. Noi bambini pensavamo che fossero zii e zie non come lo zio e la zia che abitavano con noi sempre, ma come gli zii che erano le mamme e i babbi dei cugini che abitavano da altre parti. Stavano lì per mesi, qualcuno per anni: ma non erano neanche parenti. Venivano dalla città del nonno o da quella della nonna e - scoprimmo dopo - erano in casa nostra perché stavano cercando lavoro dopo la guerra, o lo avevano già ma non potevano permettersi una casa propria. Ma noi bambini non abbiamo mai sospettato una situazione simile, perché tutti i pugliesi erano amici o parenti del nonno, tutti i sardi - venissero da Sassari, da Bonorva, Ittiri, Torralba o Codrongianus - lo erano della nonna. Nemmeno i loro figli, evidentemente, erano nostri parenti, però fungevano ugualmente da cugini. Alcuni simpatici, altre rompiscatole come poche.

Credo che Papa Francesco stia tentando di fare dell’Europa una casa come la mia da piccolo. È evidente che in una situazione come quella gli spazi di ciascuno risultavano necessariamente ridotti rispetto a quelli che avrebbero potuto essere in assenza degli ospiti: noi bambini, ad esempio, non avevamo una camera dei giochi come l’avevano certe nostre cugine, con una casa delle bambole enorme; o come quella di altri cugini che, per il fatto di avere il babbo cacciatore, ospitavano in alcune stanze al pianterreno civette e altri uccelli da richiamo. Ma ci sembrava normale che fosse così: loro in un modo, noi in un altro. Papa Francesco - credo - pensa nella stessa direzione: ci sono mamme, padri e bambini che stanno sotto la pioggia ad aspettare di poter entrare in Serbia, in Ungheria, in Danimarca: bisogna trovare il modo di non farli bagnare e di dar loro da mangiare, oltre a vestiti asciutti e pannolini.

Scusate, sarò magari venuto su male, ma a me sembra ovvio che sia così, che debba essere così.

Non ho nessun disegno umanitario, non ho nessun pensiero geopolitico: vedo solo della gente sotto l’acqua, dei bambini e dei vecchi coi piedi a mollo nel fango, senza calzini di ricambio e senza carta igienica. Penso alle donne che non possono cambiarsi i lines, immagino che si debba far qualcosa per alleviare la loro sofferenza. Che io - io - sia tenuto a far qualcosa per asciugarli, farli restare all’asciutto, dargli qualcosa di caldo da mangiare e un maglione che non puzzi come la roba che non asciuga.

Invece l’Europa non pensa così. Lo si capisce dal fatto che convocano riunioni da qui a due, tre settimane per risolvere il problema dei profughi. Come se per due o tre settimane quelli potessero tranquillamente rimanere sotto l’acqua ad aspettare che, dall’altra parte, le autorità mandino dei bulldozer e dei muratori per costruire una barriera che non li lasci passare. D’accordo, la politica ha i suoi tempi. Però tutta questa vicenda di varchi ferroviari aperti e chiusi un giorno sì e un giorno no resta bruttissima per una sola ragione: perché evidenzia il fatto che l’Europa - gli stati europei - non vedono più l’uomo nel senso di uomo bagnato, di bambini che piangono, mariti umiliati dal fatto di non poter recar sollievo alle mogli. Anche quelli che fanno le manifestazioni per l’apertura delle frontiere: brava gente, bravissima: ma è come se pensassero che debbano essere altri - i governi - a prendere l’iniziativa. E in questo modo il problema rimane, perché per i manifestanti quello dei profughi resta comunque un problema politico.

Invece no, non deve essere così - mi pare che abbia detto papa Francesco: non è un problema politico. I profughi ci rimettono davanti a un problema umano, nostro personale. Un problema che attiene al modo come pensiamo a noi stessi in rapporto agli altri.

L’altro pomeriggio avevamo qui alcuni nipoti, figli delle nostre figlie. Lo dico solo perché hanno cognomi diversi. Stavano discutendo sul grado di parentela che avrebbero avuto fra loro i loro figli ed eventuali nipoti - questioni a lungo termine, ovviamente. Per cercare di risolvere gli intrichi si paragonavano a certe parentele in vigore fra gli adulti delle diverse famiglie allargate e i loro figli. A un certo punto li ho sentiti impegnati a capire cosa fossero per loro i figli delle figlie dei fratelli di mia moglie. Prevedendo che la cosa si sarebbe complicata in maniera eccessiva uno di loro è uscito con una proposta accettata immediatamente e all’unanimità: «Scusate raga, ma a noi che ci importa? Noi, più che cugini, siamo fratelli: per cui i nostri figli saranno cugini primi e chi se ne importa se per altri non lo sono».

Credo che Papa Francesco desideri una cosa di questo tipo: una cosa che cambi la percezione della relazione di parentela fra gli uomini. Sta pensando a una casa dove siamo un po’ tutti parenti, credo.

Fin che ci si sta, ovvio. Ma pare che attualmente di spazio ce ne sia ancora per tutti. Tranquille, autorità. O meglio, fate attenzione, perché l’altro giorno, in Austria, un sacco di gente ha preso la macchina ed è andata a portare soccorso a quei poveretti d’oltre confine. Se ne sbattevano, delle autorità, quelle persone. Se fossero in tanti a prendere una decisione simile i governi dovrebbero temere per la loro incolumità. E sarebbe un bel giorno quello in cui dovessero smobilitare perché la gente di strada è più umana dei suoi rappresentanti.

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