Quando Napoleone portò le patate in Val Seriana, ovvero le storie di Giampiero Valoti
Insegnante in pensione, ha scritto libri sulle pietre coti e sulle piante. Vive a Nembro. «La vita contadina? Durissima, ma in armonia con la natura»
di Paolo Aresi
Incontrare Giampiero Valoti è immergersi nella cultura di Nembro e della Val Seriana, nella sua memoria. È tornare a parlare con personaggi che hanno costruito i nostri paesi e non ci sono più. È comprendere le loro ragioni, le loro debolezze. Oggi Giampiero Valoti è un insegnante in pensione, ha 74 anni, abita in paese. La passione per la storia lo accompagna da sempre.
Lei ha fatto l’insegnante.
«Prima alle elementari, avevo una pluriclasse a Monte di Nese, bambini di terza, quarta, quinta elementare insieme. Grande esperienza. Ho cominciato il primo di ottobre nel 1969. Poi mi sono laureato e sono passato alle medie».
Ha cominciato a interessarsi di pietre coti, di quello che significavano per Pradalunga e per Nembro.
«Sì, avevamo fatto un libro nel 1990 che si intitolava “Nember, long e picadùr”, lo avevo fatto insieme a Giovanni Bergamelli e al gruppo In-contro. Era il risultato di una ricerca sul campo, a tappeto. Noi del gruppo In-contro facemmo più di 150 interviste di operai, contadini, impiegati… Volevamo verificare le condizioni di vita e di lavoro a Nembro, non soltanto per quanto riguardava le pietre coti, da fine Ottocento all’inizio della Seconda guerra mondiale».
Un periodo cruciale.
«Sì, a fine Ottocento nacquero le due grandi industrie tessili, la filatura di Benigno Crespi, che lavorò fino al 2007, e una tessitura della famiglia Blumer, di origine svizzera, imparentati con i Frizzoni, con i Curò. Esisteva una situazione sociale del tutto particolare, e figure di valore come Romano Cochi, sindacalista che abitava ad Alzano, don Garbelli, parroco in borgo Santa Caterina a Bergamo e membro dell’Ufficio del lavoro della Diocesi con don Carminati. C’era una realtà sindacale forte nel cattolicesimo bergamasco. Poi (...)