Quarant’anni di Atalanta e trasferte firmati da Marcello, il Principe

Lo avete letto per mesi, su queste pagine. Ogni venerdì, il Principe ha firmato un pezzo e, come lui, anche noi lettori abbiamo, per qualche minuto, riavvolto il nastro della memoria nerazzurra con un sorriso. Adesso, in quelle stesse pagine, siamo noi a voler invece raccontare lui. E così abbiamo deciso di intervistare il Principe. Che in realtà si chiama Marcello Limonta, è nato nel 1969 e prova per l’Atalanta una fede incrollabile. «Ho sempre abitato vicino allo stadio – racconta a ruota libera – e se oggi vivo in una vietta a pochi passi dalla Nord, da piccolo avevamo casa vicino al Santuario di Borgo Santa Caterina: dalla finestra della camera vedevo le teste dei tifosi allo stadio. Il mio battesimo calcistico è arrivato a soli 4 anni. È stata mia nonna a prendermi sotto braccio e a portarmi all’Atalanta. Ho pure sbagliato nome: mi sono preso uno scappellotto perché l’ho chiamata “Ataranta”, con la erre. Naturalmente non è più successo».
Perché Principe. Introverso e poco avvezzo alle attenzioni degli altri, Marcello ci ha raccontato aneddoti incredibili a rotazione continua. Servirebbe un giornale intero per raccoglierli tutti, ma da tanti piccoli dettagli si capisce davvero quanto l’Atalanta sia vitale per lui. Ma una domanda, chiacchierando con Marcello, sorge spontanea: perché tutti lo chiamano Principe? «È tutta colpa del Baffo, uno dei nomi storici della Curva, che è anche quello che da sempre dà i soprannomi a tutti. In origine ero il Piovra per le dimensioni delle mie mani – spiega Marcello mostrandocele –. Poi un anno, durante un ritiro in Trentino, abbiamo festeggiato con una serata dal tasso alcolico abbastanza elevato e la mattina successiva non stavo proprio benissimo. Anche perché non sono avvezzo a certe bevute. La mattina dopo, quindi, ero ko fuori dall’appartamento che avevamo affittato. Attorno a me c’erano quattro o cinque persone, oltre al Bocia, che cercavano di farmi riprendere con del caffè. Il Baffo, vedendo la scena, disse: “Ada, ta ma paret ol Principe d’Inghilterra con tota chela zét in giro”. Da quel giorno sono il Principe. Per tutti».
Numeri incredibili. Il peggioramento dei suoi problemi motori ha fermato i viaggi al seguito della Dea del Principe. Ma i “numeri nerazzurri” di Marcello sono impressionanti, sbalorditivi, e raccontano di una passione incredibile: «Dal 1974 a oggi, dopo quel Atalanta-Novara 0-0 che ho visto all’età di 4 anni con mia nonna, ho saltato solo cinque partite in casa. Una volta perché andavo male a scuola e mi hanno chiuso in camera. Mia mamma diceva sempre che ho detto prima “Atalanta” che “mamma”. In questi giorni è un anno che lei non è più tra noi e ho dovuto smettere di andare in trasferta anche per stare vicino a papà e a mio fratello gemello. Quest ’anno ho visto solo una partita lontano da Bergamo: a Lione. È stata la trasferta più bella di tutta la mia vita. Qualcosa di sensazionale. E pensare che non ci volevo nemmeno andare, mi hanno caricato di peso sul pullman».
L'incidente. In realtà, le partite casalinghe saltate dal Principe sono cinque e mezza. Nel 1995, infatti, durante un Atalanta-Palermo cadde dalla Curva. Un volo nel vuoto che ha rischiato di avere conseguenze tragiche. «Sono uno dei dodici che, negli anni, sono volati giù dalla Curva. Ero a cavalcioni a far cantare la gente e al gol di Fortunato (gara finita 2-0) mi sono voltato per vedere se aveva davvero segnato lui, visto che non segnava mai. La gente mi è venuta addosso, ho perso l’equilibrio e sono caduto da un’altezza di quasi cinque metri. Sono andato giù di faccia, dopo sessantasei giorni di ospedale me la sono cavata perdendo “solo” la vista da un occhio. Era il 28 maggio 1995, sui giornali mi davano per morto. Invece sono qui ancora. Sono anche andato dal giornalista de L’Eco che aveva scritto che ero deceduto. Gli ho detto che ero resuscitato».
Quelle volte nei guai... Con 44 anni di stadio e oltre trenta di trasferte, ci sono una serie infinita di racconti, ma è bellissimo scoprire come fa il Principe a ricordare tanti dettagli. «Sul BergamoPost ho raccontato quello che si poteva, per scrivere i pezzi che sono stati pubblicati sono andato in garage e ho ripreso vecchi appunti che ho preso negli anni e che ho sempre custodito gelosamente. È stato bellissimo rivivere certe emozioni. Ho iniziato ad andare in trasferta nel 1985, in quel periodo lavoravo in banca e mia mamma era orgogliosa e preoccupata: mi diceva sempre di stare buono e di non fare casini ora che avevo un lavoro importante». Ogni tanto, però, nei casini Marcello ci si infilava. «Una volta sono andato a Napoli e mi sono trovato in mezzo ad alcuni scontri. Le ho prese sia fuori dallo stadio dalla Polizia che a casa al mio ritorno. La mattina, infatti, avevo detto a mamma che uscivo per prendere il giornale e invece mi ero infilato sul bus ed ero andato a Napoli con la Curva. Un’altra volta partimmo per Palermo in bus, ma nevicò e la partita fu rinviata al martedì. Dopo tre giorni in giro, seguii la gara alla radiolina mentre ero in banca. Quella stessa banca in cui, poco dopo essere stato assunto, chiesi un giorno di ferie per andare a Foggia: rientrammo il lunedì mattina alle 8 e io andai direttamente al lavoro. Con al collo la sciarpa della Dea e il direttore che mi aspettava all’ingresso».