Accadde a Dalmine

Quel giorno che il piccolo Franco vide il bombardiere schiantarsi

Quel giorno che il piccolo Franco vide il bombardiere schiantarsi
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È l’agosto del 1944. Mentre la guerra civile stravolge le viscere di un’Italia sfiancata, il dalminese Franco Testa osserva lo scorrere degli eventi con l’innocenza di un ragazzetto di dieci anni, dalla finestra di una stanza a Osio Sopra, località Cascina Bianca. È qui che vive con i tre fratelli e i genitori, dopo che il bombardamento di Dalmine lo ha reso uno sfollato. Ed è sempre qui che, il 9 agosto di quell’anno, qualcosa cattura la sua attenzione. Un Martin B26, bombardiere dell’aeronautica militare statunitense, spezza il cielo bergamasco in due: il mezzo si schianta contro un palo della luce e completa la sua corsa impazzita a 50 metri dall’abitazione provvisoria di Franco, tra Osio Sopra e Mariano, dove ha trovato ospitalità grazie all’allora sindaco dalminese Giulio Terzi.

«Di quella giornata ho ricordi un po’ confusi, è passato molto tempo. Ricordo bene l’arrivo di diversi civili osiensi, accorsi per rubare il motore e i pezzi di ferro sparsi sul terreno. Ricordo di aver visto don Sandro Bolis in bicicletta arrivare sul posto pochi attimi dopo. E ricordo i militari, che ci obbligarono a restarcene chiusi in cascina. Avvicinarci alla scena della tragedia non era permesso». Franco, però, riesce a imboccare una porticina laterale che dà direttamente sul campo, e le immagini di quell’incidente si fanno più nitide: ciò che rimane di due cadaveri è visibilmente impigliato tra i rami di alcune piante, e il piccolo dalminese riconosce «pezzi di corpo sparsi un po’ dappertutto, un olezzo insopportabile. Ero agitato, fu una giornata indimenticabile. Avevo la paura che si può provare quando si hanno solo 10 anni e non si comprende cosa stia accadendo».

Saranno le ricerche successive a dare un senso alla vicenda: l’aereo sciagurato è in realtà parte di una squadra composta da 37 bombardieri della United States Air Force, decollati dalla base aerea alleata di Villacidro, e diretta all’aeroporto di Orio al Serio, occupato dai tedeschi. Dopo aver sganciato le bombe sull’obiettivo militare, la squadriglia si prepara al rientro, ma qualcosa va storto: la contraerea tedesca colpisce la coda del velivolo, pilotato dal capitano Robert Shank. È quest’ultimo ad avere la prontezza di compiere una manovra lucida, destinata a risparmiare diverse vite. «Dopo aver perso quota, il capitano comprese che si sarebbe schiantato su Filago, dando seguito a una tragedia immane. Scelse così di scontrare l’ala del B26 contro un palo della luce, e dopo questa mossa l’aereo finì nel campo di Osio Sopra», racconta Enzo Suardi, membro dell’associazione storica dalminese che ha saputo raccogliere i tasselli di questa complessa vicenda.

Il bilancio del dramma è contenuto: dei sette membri dell’equipaggio, cinque riescono a salvarsi lanciandosi poco prima dell’impatto. I due militari che perderanno la vita saranno sepolti nel cimitero di Osio Sopra, finché i soldati americani non restituiranno le loro spoglie al suolo statunitense, in seguito alla liberazione di Bergamo. Con i soldati superstiti, il destino sarà più clemente, tanto che il pilota Robert Shank avrà il tempo di scrivere le memorie di quel giorno e di descrivere come si accorse «con terrore che il mio aereo non rispondeva più ai comandi. Non succedeva nulla, non avevo più il controllo. Probabilmente ci avevano colpiti, ma nel trambusto non mi ero accorto di quando fosse avvenuto».

È questa eredità storica a destare nel figlio di Shank, Bob, il bisogno di recuperare i resti fisici di quel B26. Si mette in contatto con il gruppo italiano Air Crash Po, la realtà che da anni perlustra il nord Italia a caccia dei resti degli aerei caduti. I suoi ricercatori coinvolgono Enzo Suardi, che si mette all’opera per portare luce: «Due anni fa sono entrato in un bar di Osio Sopra, mi sono offerto di pagare da bere a chiunque fosse testimone della caduta dell’aereo e fosse pronto a condurci nel luogo esatto dell’impatto». Risponde all’appello l’osiense Francesco Brugali e, in men che non si dica, una folta squadra di appassionati storici giunge al campo interessato. Sarà il sussulto impazzito del metal detector a segnalare la presenza dei frammenti di quell’aereo rimasti seppelliti per anni, e restituiti finalmente alla luce della storia.

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