Quelli contro l'Europa islamica
Nella notte tra il 22 e il 23 dicembre, sulla statua del Donizetti in pieno centro a Bergamo, è comparso un cartello: «Islam in Europa 2050». Poche ore dopo, su Facebook, la sezione bergamasca di Generazione Identitaria ha rivendicato l’atto, spiegando che «questo è il futuro dell’Europa. Immigrazione incontrollata ed istituzioni incoscienti segneranno la fine, ma noi ci opponiamo». Il fatto è presto finito in secondo piano.
Eppure Generazione Identitaria è un movimento che si sta diffondendo in tutta Europa. Nato in Francia nel 2012 come frangia giovanile del Bloc Identitaire, realtà politica considerata dai media «più a destra anche di Le Pen», si è fatto conoscere al mondo attraverso l’occupazione di un cantiere a Poitiers dove si stava edificando una moschea. Da quel giorno, i membri del movimento crebbero e presto nacquero sezioni in diversi Paesi: Germania, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, Olanda e Italia. I colori di Generazione Identitaria sono il giallo e il nero, mentre il simbolo è la “lambda”, lo stesso del popolo spartano. I membri si definiscono «il primo movimento in Italia a trattare il tema dell’identitarismo etnico-culturale unitamente alla difesa delle identità locali». L’identità difesa dagli Identitari (così si fanno chiamare) si articola su più livelli: l’identità locale, l’identità storica e quella di civiltà. Queste sono complementari e mai in conflitto tra loro. Stefano Bacchiega ha 21 anni, vive nell’Isola, studia Meccanica ed è il responsabile di Generazione Identitaria a Bergamo.
Quando è arrivato il movimento nella Bergamasca?
«La pagina Facebook è nata nel 2012. La sezione locale, invece, s’è sviluppata circa un anno e mezzo fa. Siamo una decina di età compresa tra i 20 e i 30 anni».
Su internet avete molto seguito.
«Sì, la pagina Facebook vanta oltre 2.500 “Mi piace”».
Vi definite un movimento apartitico.
«La politica istituzionale non ci interessa».
Qual è il vostro obiettivo?
«Risvegliare le coscienze, soprattutto dei più giovani, sempre più apatici e disinteressati».
E a Bergamo?
«Mi sembra abbastanza evidente qual è la situazione, come dimostrano le recenti dichiarazioni di Gori che vuol mettere i clandestini a fare la guardia nei parchi».
La vostra priorità, quindi, è l’immigrazione?
«Sì, il modo in cui si gestisce l'arrivo dei rifugiati. Anzi, dei clandestini, come è più giusto definirli».
In Francia il movimento è stato tacciato di xenofobia e definito neonazista.
«Qualsiasi tipo di movimento vada controcorrente viene tacciato di essere neofascista, xenofobo, islamofobo e una sfilza di altri termini...».
Ma avete dei punti di contatto con i movimenti di estrema destra?
«Non ci definiamo di estrema destra, perché i concetti di “destra” e di “sinistra” sono superati. Noi siamo Identitari. Poi se ci sono dei punti di contatto con altri movimenti non si tratta più di essere di destra o di sinistra, ma di essere dalla parte del buonsenso. Essere contro l'immigrazione incontrollata significa essere di buonsenso, non di una parte piuttosto che di un'altra».
Quindi, politicamente, non vi schierate?
«No, siamo aperti a dialogare con chiunque la veda come noi su un argomento».
Non c'è già la Lega che si pone a difesa delle identità locali?
«La Lega porta avanti alcune nostre battaglie, però i suoi metodi e la sua storia non rispecchiano la nostra visione politica».
E con movimenti come Forza Nuova o Casa Pound vi sentite più in sintonia?
«Abbiamo punti in comune. Ma il nostro modo di far politica è diverso. La nostra essenza è lontana da quella di qualsiasi realtà di estrema destra. Ci possono essere dei punti di contatto, ma niente di più».
La soluzione che voi proponete per la questione dell'immigrazione è la cosiddetta “remigrazione”, che prevede anche accordi con i Paesi d'origine. La situazione politica presente in molti di questi Paesi, però, al momento rende impercorribile questa via. Siete d’accordo?
«Sì, ma se noi come Occidente la smettessimo di destabilizzare questi Paesi, allora probabilmente avremmo degli interlocutori. E questo vale per la Libia come per la Siria, dove Assad è stato descritto come un dittatore, un pericolo, ma in realtà era l'unico soggetto in grado di mantenere l'ordine».
Il problema resta però.
«Ora come ora ha ragione. Ma la nostra “remigrazione” consta di ben 23 punti».
Ce ne dice un altro?
«Svuotare le carceri dagli stranieri e far scontare loro la pena nei Paesi di origine».
Voi siete anche contro lo ius soli. Perché un bambino nato in Italia non dovrebbe essere considerato cittadino italiano?
«Innanzitutto bisogna distinguere tra l'essere italiani e l'avere la cittadinanza italiana. Non è la stessa cosa. E non è nemmeno un discorso culturale: se uno mangia la pasta due volte a settimana non è italiano. Noi non escludiamo l'ipotesi che degli stranieri diventino italiani, siamo nel 2016, non possiamo vivere in una campana di vetro. Però non si può neanche pensare a un'applicazione generalizzata dello ius soli. Dove è stato applicato non ha portato alcun vantaggio».
Qual è la vostra posizione nei confronti dell’Islam?
«Non lo vediamo come un nemico, ma in Italia rischia di essere una minaccia. Ci sono Paesi che sono in caduta libera, sia dal punto di vista demografico che culturale. L'Europa s'è inginocchiata: non si possono criticare o giudicare i musulmani. Ora rischiamo di perdere la nostra cultura».
A Bergamo la comunità islamica s'è divisa. E il presidente del Centro culturale di via Cenisio, Mohamed Saleh, vuole che tutti i fedeli siano identificati. È una posizione che vi trova d'accordo?
«Mi pare sia stato lo stesso Saleh a dire che alcuni membri del Comitato musulmani di Bergamo potrebbero essere assimilati all'Isis».
Ha parlato solo di possibili tensioni e soggetti singoli pericolosi...
«Ma infatti siamo contenti se la stessa comunità islamica cerca di emarginare le frange più estreme».
Quindi sareste d'accordo con il concedere loro la possibilità di costruire una moschea?
«No, la moschea è impensabile. Non hanno bisogno di un edificio sacro per pregare. Possono pregare in casa o in qualsiasi altro edificio».
Quindi la discriminante sarebbe la denominazione in sé come moschea e basta?
«Non solo la denominazione, anche l'architettura. Le moschee sono luoghi che richiamano una determinata cultura».
Il vostro movimento ha anche radici religiose?
«No, ci definiamo laici. Però è evidente che un musulmano o un buddista non potrebbero far parte del movimento».
Perché?
«Perché sarebbe un controsenso. Sono persone che hanno perso le proprie radici».
I dati spiegano che gli immigrati sono fondamentali per l’Italia dal punto di vista economico e demografico.
«L’unica vera soluzione è la creazione di posti di lavoro che convincano gli italiani a restare. Quello che invece stiamo facendo è esportare laureati per importare clandestini».
I toni e gli slogan che usate, così come alcune iniziative quali le lezioni di legittima difesa o boxe, richiamano l’uso della violenza. Non pensa che sia un messaggio ambiguo?
«Noi non siamo violenti. Le cose viaggiano su due livelli differenti. Circa i toni di video e slogan, l'obiettivo è essere incisivi, attirare l'attenzione. Dal punto di vista delle iniziative sportive, invece, il nostro obiettivo è la crescita caratteriale dell'individuo».
Ma perché avete scelto la boxe piuttosto che uno sport di squadra?
«Gli sport che abbiamo scelto sono quelli che, stando alla psicologia sportiva, rafforzano maggiormente il carattere. Non c'è nessuna motivazione legata alla violenza. Poi va detto che, visti i tempi, sapersi difendere non è un male».
Vi considerate dei soldati?
«No, assolutamente» (ride, ndr)
Come vi finanziate?
«Ci autofinanziamo e, a livello nazionale, c'è chi ci aiuta con delle donazioni».
E a Bergamo?
«Per ora siamo piccoli. Atti come quelli al monumento del Donizetti servono anche a farci conoscere».
Avete avuto contatti con le istituzioni?
«No. Siamo disponibili a confrontarci con tutti, ma non andremo mai a cercare nessuno».