Ragazzi, Baggio è tornato in campo (accidenti, non avevo gli scarpini)

Davanti alla porta c’è sempre qualcuno che va o che viene, che entra o che esce. Un pennellone con l’aria del giocatore di basket. Un tatuato un po’ tamarro: sicuramente un calciatore. Basterebbe mettersi lì di fronte, seduti ad ammirare e ad ascoltare i discorsi della gente, a far passare le ore fino a tarda sera fino a che anche la fabbrica dove curano i sogni tira giù la saracinesca. Può capitare di vedere chiunque, e oggi all’Isokinetic di Bologna si è rivisto Roberto Baggio.
Quando giocava da queste parti lo potevi incontrare perché è da lì che transitano i giocatori per le visite mediche, o i test atletici. Vederlo di questi tempi è molto difficile. Una rarità. Mi capitò due anni fa, quando il Papa lo convocò per la partita Pace. Lui - che non giocava da dieci anni - chiamò gli amici del centro di eccellenza Fifa, gli spiegò la situazione, e loro lo misero in forma per l'appuntamento. Fece anche gol.
Questa volta la scusa è non è diversa, un’altra partita, questa volta in Cina, lì dove il nome di Baggio è leggenda come dappertutto. Quando me lo ritrovo davanti ho un tuffo al cuore. Non c’è niente di più straziante che osservare il tempo scivolare sul corpo di un uomo che è stato campione: Baggio ha ancora quello sguardo scintillante e profondo, ma le rughe cominciano a essere marcate e feroci, e anche la corsa non è più quella di quando aveva vent’anni. Claudio, il responsabile dei campi dell’Isokinetic, con Baggio ci lavora da una vita. Una volta, nel 2002, lo mise in piedi a tempo di record. Baggio si era rotto il menisco, ma voleva essere pronto per il Mondiale in Corea. All'epoca giocava nel Brescia. Chiamò Claudio, gli disse di voler essere pronto per le convocazioni. Quello lo guardò e fece il miracolo. Alla fine Trapattoni preferì portarsi Del Piero, ma questa è un’altra storia.
Claudio ha curato Baggio tutte le volte che il ginocchio ha fatto i capricci, e poi lo ha rimesso in sesto la volta della partita del Papa, e adesso è ancora qui, perché quando Baggio chiama, figurati. Sono settimane che va e viene dell'Isokinetic, ma oggi è il giorno della partitella, della prova sul campo. L'aria è calda e silenziosa, l'estate sa essere così giusta. Andiamo fino al grande campo in fondo alla struttura, è lo stesso su cui si allena il Bologna. Ma oggi è tutto per loro. Io assisto alla conta per le squadre da due passi. La cerchia è ristretta, i fortunati sono pochi, e per un attimo mi viene in mente che avrei potuto portarmi anche io gli scarpini da casa, se non altro un giorno avrei potuto raccontare di aver giocato con il (vecchio) Baggio. Ma va beh, è bello anche stare a guardare. Seduto sull’erba, osservo Baggio fare riscaldamento, tirarsi i muscoli, ridere e scherzare. E' tutto così normale. Non c’è nessuna tensione pre-gara, nessun senso di costrizione, niente di niente. E' solo calcio. Solo puro, bellissimo divertimento. Gli altri lo osservano con un’ammirazione sincera, e anche io. Sono quasi tutti ragazzi di poco più di vent’anni, e c’è anche qualche fisioterapista dell’Isokinetic che si è unito alla partita per fare gruppo. Si gioca con le porticine piccole, che bastano a rendere la difficoltà di un gol ancora più elevata.




L'unico davvero attento è Claudio. Osserva le gambe di Baggio, pistoni che una volta pompavano energia e rilasciavano talento. C'è da valutarne lo stato, e con il cristallo non c'è da scherzare. Due anni fa mi impressionarono le lunghe cicatrici sulle ginocchia di Baggio. Questa volta non è diverso. Segni di una sofferenza reale, vera, rimasta attaccata alla pelle. Di Baggio osservo i movimenti del campione che fu, gesti pensati, gesti veloci, gesti che appartengono alla storia del nostro paese e che il tempo ha reso meno fluidi, meno brillanti. Più appesantiti. Però le scintille sono le stesse di quando giocava. Un tiro da posizione così defilata che si stampa (incredibilmente) sul palo, un altro da due passi battezzato con un’eleganza unica e rara. Un gol, uno dopo l'altro. Ma non è questo che conta. E' quel senso di puro divertimento intorno a me, che mi riempie di speranza. In un mondo in cui l'elogio del fenomeno passa attraverso la mediaticità, i soldi, il senso di opulenza - tutte cose che certamente avranno interessato anche Baggio -, vederlo in un contesto libero e familiare è quasi straziante. Bellissimo.
Non soltanto perché il calcio non ha età o perché ci fa tornare bambini, ma anche per via di questo senso di leggerezza benedetto e sacro, un senso di gioia staccato dal tutto, staccato dal tempo, che sempre dovremmo imparare a riconoscere e a vivere con maggiore intensità. Baggio tenta una finta, un dribbling ostinato, un filtrante azzardato. E' lo stesso di sempre, è un bambino infinito. Più tardi il cielo è ancora limpidissimo, soffia solo un po' di vento in più. Baggio e gli altri escono dal campo. Stanchi, felici. Chi ha vinto non se lo ricorda già più nessuno, e in fondo non importa. L'unico ad avere ancora un po' di apprensione è Claudio, ancora lì che sbircia le ginocchia del campione. Ma il volto, almeno, adesso è più rilassato. Io mi alzo e guardo l'ora. E' già tempo di andare. E' già tempo di tornare adulti.