Il cooperante dimenticato

Ricordo di Giovanni Lo Porto per il quale Obama chiese scusa

Ricordo di Giovanni Lo Porto per il quale Obama chiese scusa
Pubblicato:
Aggiornato:

Multan, Punjab pakistano, è una umida serata nel compound che ospita la guesthouse del’ONG tedesca Welthungerhilfe. È il 19 gennaio 2012 e da poco più di un mese Giovanni Lo Porto, cooperante palermitano dalla solida conoscenza della zona, sta cenando con i colleghi nella sala da pranzo della casa. La porta sbatte con forza e quattro uomini armati di fucili automatici irrompono nell’edificio. Dopo pochi attimi concitati forzano ad uscire Giovanni ed il collega tedesco Bernd Muehlenbeck, li caricano su di un furgone e si allontanano nella notte.

Questo è il prologo di un incubo pieno di ombre che per Giovanni è durato tutto il resto della vita, per la famiglia e gli amici più di tre anni di disperata speranza. Il 23 aprile 2015 il presidente degli Stati Uniti annuncia la morte del cooperante siciliano, in Afghanistan, durante un raid condotto per eliminare i ribelli di Al-Qaeda.

 

1480620_789649591071319_2345025622300082259_n.jpg

 

Torniamo sul terreno. Multan è una città di due milioni di abitanti situata nel mezzo del Pakistan, a metà strada tra India e Afghanistan. A poca distanza scorrono i fiumi Chenab e Indo, vitali per l’agricoltura locale e mortali per gli effetti devastanti delle alluvioni monsoniche che travolgono sempre più spesso gli argini inondando le campagne. La città, sede anche della scuola dell’aviazione militare, punteggiata da numerosissimi checkpoint armati le danno l’aspetto di una città per lo più tranquilla. Proprio da questo punto di vista i numerosi cooperanti espatriati che lavoravano e abitavano la zona, vivevano per lo più senza stringenti regole di sicurezza da rispettare, questo fino all’inizio del 2012. Durante questo periodo, Giovanni e Bernd, sono stati i primi espatriati a cadere nelle mani di bande armate, nei mesi successivi nell’area si sono verificati altri rapimenti ai danni di stranieri.

Questi rapimenti non sono direttamente riconducibili a gruppi jiadisti: la zona di maggiore influenza dei miliziani si trova a centinaia di chilometri a ovest verso Quetta, nelle aree di confine con l’Afghanistan e nelle zone tribali del nord-ovest e nel KPK (Khyber Pakhtunkhwa) attorno a Peshawar. Verosimilmente bande criminali locali hanno rapito i due cooperanti per rivenderli ai talebani afgani, un gruppo non ben organizzato, infatti, difficilmente può gestire una così lunga prigionia. Al sequestro sarà seguito il trasferimento verso il confine e la consegna al gruppo di contatto.

 

 

La prassi, in questi casi, è il contatto tra talebani e interlocutori pakistani, probabilmente dei famosi servizi segreti militari dell’ISI (Inter-Services Intelligence). Le richieste sono spesso economiche o il riscatto di altri talebani detenuti nei carceri. Purtroppo a questo punto cala il sipario: le congetture sostituiscono ogni notizia o segnale atteso dal governo italiano che non ha mai smesso di cercare il cooperante attraverso contatti e nella riservatezza più assoluta per tutelare la vita di Lo Porto.

Passano i mesi e a dicembre del 2012 Bernd, in un video diffuso dai mujahidin, mostra al mondo il suo volto emaciato e si rivolge al governo tedesco pregandolo di accogliere le richieste dei rapitori. Dopo questo segnale ricala il silenzio fino a ottobre 2014 quando Bernd viene riconsegnato alle forze speciali tedesche in una moschea alla periferia di Kabul. Giovanni da un anno non si trova più con il collega. Uno spiraglio di fiducia accompagnato da altre incognite e cala nuovamente il sipario.

Secondo fonti dell’Huffington Post, a fine 2014 i servizi segreti italiani avvisarono la CIA che c’era una trattativa aperta per liberare Lo Porto tramite un mediatore pakistano. In questo periodo gli agenti sono entrati in possesso di un video del nostro cooperante che rappresentava la sua prova in vita: il negoziato sarebbe potuto proseguire. Dopo uno stop legato alla richiesta economica dei terroristi sembra che la mediazione potesse andare a buon fine.

 

1429810058402.jpg--

 

Il 15 gennaio del 2015 un drone sorvola un edificio in un’area remota del Waziristan e lo colpisce con un missile, uccidendo quattro dirigenti di Al-Qaeda. Un sorvolo successivo evidenzia che i corpi a terra sono 6. Tra fine mese e l’inizio di gennaio agenti della CIA si recano in missione sul luogo dell’impatto e recuperano reperti organici da analizzare. Verso marzo la conferma che uno dei due corpi appartiene a Warren Weinsten, cooperante americano nelle mani dei terroristi dal 2012, l’altro non può essere che di Giovanni Lo Porto. Le battute finali arrivano solo a fine aprile: le scuse ufficiali di Barak Obama a Renzi, il dolore di amici e parenti e la generale incredulità per una fine così tragica e in qualche modo evitabile.

Resta il dolore, per la perdita di una persona che ha dedicato la vita alla cooperazione. Rimane lo sdegno per il silenzio che è calato sulla vicenda. Cresce il rammarico per tutto ciò che non è stato fatto per difendere la vita di un uomo che ha rappresentato il volto pacifico del nostro Paese nel mondo.

Seguici sui nostri canali