Il suo libro, Revolution, è già un bestseller

Russell Brand, il Grillo inglese

Russell Brand, il Grillo inglese
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26 febbraio 2013: The Economist, il maggior settimanale del Regno Unito, titolava «Fate entrare i clown». Destinatario del neanche troppo velato attacco, il Movimento 5 Stelle, che usciva dalle elezioni con il 25,5% dei voti degli italiani e irrompeva nell’universo della vera politica (quella fatta nel Parlamento) come terzo maggior partito d’Italia, piaccia o meno l’etichetta di partito a Beppe Grillo e grillini. In Inghilterra, dunque, era guardato con un misto di stupore e superiorità ciò che stava succedendo nel nostro Paese. Com’è possibile che un comico, perché questo era e per molti ancora è Grillo, possa imporsi con quella facilità sul palcoscenico politico di uno degli Stati più importanti dell'Unione? Strani questi italiani, avranno pensato oltremanica. Peccato che ora, nella terra della Regina, stia succedendo la stessa cosa. E il merito (o la colpa) è di Russell Brand.

Un comico rockstar. Classe 1975, londinese di nascita, Brand ha un umorismo fatto di sarcasmo e pungenti battute al vetriolo. Col suo stile molto alla moda e il sorriso beffardo, è in grado di tirare fuori dal pubblico quello che lui chiama «il lato peggiore», cioè la risata provocata da un eloquio anarchico, senza limiti, senza censure. Il suo forte sono, indiscutibilmente, le stand-up comedy, ovvero gli spettacoli di umorismo totalmente incentrati su di sé, dove per brillare non può mancare una massiccia dose di egocentrismo nello showman che domina con maestria e padronanza (di sé e del pubblico) il palcoscenico. Dai locali dei sobborghi di Londra, dove faceva ghignare a crepapelle la low-class più varia in cambio, nelle serate migliori, di una manciata di sterline e una sbronza a base di rosse dal gusto pieno, alla televisione, il passo è breve. Perché Russell Brand è, fondamentalmente, un ottimo comico. Con un problema però: non ha mai amato i paletti e le censure. Più che da personaggio della tv, la sua era una vita da rockstar, tra alcol, droghe e donne diverse ogni notte. Impossibile che questo suo lato, indissolubilmente legato a quello comico, restasse nascosto a lungo. Il 12 settembre 2001, cioè il giorno dopo il tragico attentanto alle Torri Gemelle, Brand si recò in uno studio televisivo travestito da Osama Bin Laden. È troppo. La televisione inglese, da quel giorno, cancella il suo nome.

La rinascita, la popolarità, la rivoluzione. Primo passo, dopo la cacciata in tronco e l’imbarazzo conseguente, fu la disintossicazione, dalla cocaina e dal sesso. Poi, essendosi giocato ogni chance di lavoro in Inghilterra, volò in America, dove tra un film ad Hollywood e tante comparsate negli show americani, incontrò la cantante Katy Perry. Nel 2010 i due si sposarono, ma la storia non durò a lungo e nel 2012 si separano. Intanto, però, la sua popolarità era tornata a salire. Il suo volto non era più limitato alla televisione inglese, diventò una star del jet set internazionale e il suo ego veniva ampiamente saziato da tutto questo. Nonostante avesse abbandonato, almeno negli eccessi, la vita sregolata di una volta, il suo look restava tale: giacche in pelle, capelli lunghi, barba folta, cappelli strani, catenone al collo e anelli di ogni sorta a ornare le sue mani, spesso portate verso il pubblico nello storico gesto rock più comunemente noto come “corna”.

In questa nuova fase della sua vita, le sue ideologie si rafforzarono. Da sempre vicino ad ambienti anarchici, o comunque di estrema sinistra, Brand iniziò a parlare del suo modo di vedere il mondo. Un punto di vista decisamente sui generis, che viene perfettamente esposto al mondo in un’intervista fiume del 2013, rilasciata al giornalista Jeremy Paxman della Bbc: «Credo in una società egualitaria, basata sulla redistribuzione radicale della ricchezza, la tassazione delle imprese e la presa di responsabilità da parte di ogni compagnia energetica. Anzi, di ogni compagnia che sfrutta l’ambiente. L’idea stessa di profitto va rivista. Il premier Cameron dice che “profitto” non è una brutta parola. Io dico che è una parola schifosa. Perché dove qualcuno ha un profitto c’è qualcun altro che ci rimette». L’intervista ha un’eco tremendo e attorno alla sua figura iniziano ad arrivare i consensi di tanti giovani, delusi dalla politica inglese e amareggiati da una società dal potenziale enorme ma che non offre reali occasioni di crescita. Nasce la sua idea di rivoluzione, che ha deciso di condividere con il mondo in un libro, intitolato Revolution per l’appunto, già best seller dopo appena un mese nelle librerie.

Un futuro in politica? Le idee di Brand non stupirono chi già lo conosceva. Del resto, come spiega un ritratto del personaggio fatto da Pagina 99 del 15 novembre, il comico si era sempre dichiarato astensionista convinto, ostile ai partiti tradizionali (asserviti alle banche e alle grandi lobby) e vicino a movimenti come Anonymous e Occupy Wall Street. A stupire fu il fatto che, per la prima volta, Brand si autoproclamasse «amplificatore di tutte quelle battaglie che possono sembrare sconnesse fra loro ma non lo sono». Oggi non c’è programma di discussione politica che non lo citi o lo abbia come ospite. Di fatto è trattato come un politico a tutti gli effetti, tanto che il Daily Mail ha riferito di indiscrezioni che lo vogliono candidato sindaco di Londra nel 2016. Indiscrezioni che Brand ha smentito seccamente, dichiarando: «C’è già un comico a fare il sindaco», riferendosi all'attuale primo cittadino della City, Boris Johnson.

Revolution è un’invettiva, scanzonata e irriverente, verso il capitalismo. E, a quanto pare, poco interessa, a gran parte della popolazione inglese, che sia scritta da una persona, o meglio, da un vip con un conto corrente da 15 milioni di dollari. Cose a noi italiani già note, dato che la parabola di Brand (vita privata ed eccessi a parte) ricorda molto quella di Beppe Grillo. La differenza sta nei particolari, come nel fatto che Brand, in realtà, ami la stampa e le attenzioni della stessa, ma soprattutto nel fatto che Grillo, alla fine, è veramente sceso in politica con un suo movimento, mentre Brand ancora no. Il dilemma è se lo farà o meno. Il potenziale, come spiegano gli analisti politici inglesi, c’è: se a destra il partito Ukip ha raccolto su di sé gli elettori conservatori scontenti, Brand potrebbe essere il salvatore degli sfiduciati elettori laburisti, che nell’attuale loro leader, Ed Miliband, vedono una figura poco carismatica e inadatta alla guida del Paese. Certo che, se tutto questo dovesse realmente accadere, sarebbe bello vedere come titolerà The Economist.

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