Sgarbi, l'arte di vivere alla grande

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Con lo slogan dirompente "niente statue, meglio pisciatoi" per nutrire di ottimo combustibile la sua fama di provocatore perdutamente innamorato dell’agone verbale, inizia così la sua carriera di assessore alla cultura a Palazzo Marino. Vittorio Sgarbi, politico ondivago del nostro Bel Paese ma specialmente eccellente critico d’arte ha del resto da sempre amato alimentare la sua fama accendendo roghi che invece di divorarlo continuano a incendiare gli animi di chi si schiera, come per una squadra di calcio, pro o contro di lui. Nondimeno il paladino di un ideale partito della bellezza guarda da olimpiche altezze simili volgarotti spettacoli, di cui al pari di una divinità compiaciuta e assente, piuttosto si compiace.

Ma insomma per un esteta nato come lei, vivere alla grande è un privilegio, un lusso o semplicemente uno stile di vita?

«Una condizione adatta a chi non ha una percezione avara delle cose. È solo questione di "grandezza" e sapienza nell’arte d’esistere».

Più edonista o più esteta?

«Coltivo entrambi gli aspetti: il primo per imprinting psicologico, il secondo per mestiere».

Di cosa si nutre?

«In senso stretto di arte e di sapere umanistico, nella convinzione assoluta che questo possa esaltare l’essere umano».

Come guarda il prossimo?

«Con curiosità, attenzione, talvolta con invidia e rabbia. Dipende dal prossimo. Sono cattolico di cultura ma non fino al punto da amare chi ha ucciso qualcuno».

Il mondo: un grande buffet oppure una palestra di esperienza?

«Il mondo va in qualche misura assemblato: si aprono prospettive immense anche dalla finestre di una farmacia di provincia come è accaduto a mio padre. Siamo sempre di fronte alla vita e non viceversa: quindi né palestra, né buffet perché "la vita è" e basta. È solo l’avarizia mentale che può renderla vuota».

A quale senso rinuncerebbe?

«Direi sulle prime forse al tatto, ma non ne sono sicuro. All’udito, per evitare di ascoltare i rompiscatole, e all’olfatto contro chi puzza».

Arte e eros allungano la vita?

«Si, sull’arte in particolare non ho dubbi».

La critica è una attività masturbatoria o l’esibizione di una maliziosa sapienza?

«Una delle funzioni più nobili dell’intelligenza è valutare le cose sulle basi della comprensione e dell’armonia. Non possiamo farci piacere tutto. Dobbiamo piuttosto essere certi di conoscere bene quello su cui andiamo ad esprimere un giudizio. In questo senso reputo la critica molto utile».

Cosa la eccita veramente?

«Tutto quello che non ho ancora conosciuto: si tratti di una donna, di un quadro, di un film. Poco importa. La sorpresa del "non visto" e dell’inesplorato mi eccita moltissimo. Ciò che delude ti ammoscia, ma quel che riesce a suscitare ammirazione e incanto arriva a dare una sferzata rigenerante di nuova vita».

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