All'iLab di Italcementi

La serata dell'ArcVision Prize che è stato vinto da Angela Deuber

La serata dell'ArcVision Prize che è stato vinto da Angela Deuber
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È l’architetto svizzero Angela Deuber a vincere l’edizione 2015 dell’ArcVision Prize – Women and Architecture. Nella location dell’iLab di Italcementi, al Kilometro Rosso, illuminata dalla luce radente del tramonto, si incontrano architetti, esperti, critici e decision maker da tutto il mondo, accomunati da una cosa: la visione di un’architettura «capace di coniugare tecnologia e ambiente, materiali e forma, stile ed efficienza nella rigenerazione delle città e del territorio». Nelle parole di Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi, si legge l’orgoglio di patrocinare un premio giunto ormai alla terza edizione, che ha rappresentato in finale, attraverso le 21 progettiste selezionate, 16 Paesi del mondo e tutti e cinque i continenti. «L’ArcVision Prize vuole premiare idee e progetti innovativi, sostenibili e sociali, orientati alla bellezza e alla funzionalità del costruire e dell’abitare. Il premio vuole portare in primo piano quella visione femminile dell’architettura, capace di coniugare tecnologia e ambiente, materiali e forma, stile ed efficienza».

 

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Il premio alla Deuber. La Deuber, classe 1975, è la più giovane delle candidate in concorso, ed è portatrice di una visione dell’architettura fatta di «spazi pacifici, poetici», secondo le parole delle giurate. Le opere che le hanno consentito di aggiudicarsi il premio sono la Nuova Scuola di Thal, nel cantone di St. Gallen, in Svizzera – struttura modulare, a basso impatto ambientale (l’energia utilizzata dall’edificio viene prodotta in massima parte dall’edificio stesso) – e la Tripla Hall multifunzione con palcoscenico di Buochs, nel cantone di Nidwalden. L’architetto svizzero, raggiunto in videoconferenza all’annuncio del premio, dichiara: «Credo che la giuria abbia deciso di selezionare un architetto che ha passione per il proprio lavoro e il premio mi incoraggia a continuare con questa dedizione verso l’architettura. Mi auguro davvero che questo sia visto anche come un premio per incoraggiare un maggior numero di progettiste – le mie colleghe – a fornire il loro contributo all’architettura in ogni parte del mondo».

Una giuria d’eccezione (al femminile). È proprio questo l’intento del ArcVision Prize: istituito nel 2013 dal gruppo Italcementi, ha acquisito sin dalla prima edizione una forte valenza sociale ponendo l’accento sulla visione femminile dell’architettura. L’impegno sociale dell’evento è evidente, a partire dalla composizione stessa della giuria. Sono presenti, infatti, professioniste del campo dell’imprenditoria e della politica da sempre a favore del dialogo interculturale, come Shaikha Al Maskari (Businesswoman dell’anno 2014 per gli Emirati Arabi e membro del consiglio direttivo dell’Arab International Women’s Forum), Vera Baboun (sindaco di Betlemme, da anni impegnata sul tema dell’uguaglianza di genere), Suhasini Mani Ratnam (attrice, produttrice e scrittrice indiana, prima donna a laurearsi al Madras Film Institute), Samia Nkrumah (prima donna a presiedere un partito politico ghanese, definita il «nuovo Mandela» in un articolo dell’Huffington Post), oltre ad architetti donna di fama internazionale, come Odile Decq (titolare dell’omonimo studio e presente nella giuria sin dalla prima edizione), Yvonne Farrell (socia fondatrice dello studio Grafton Architects), Louisa Hutton (membro dal 2014 dell’Accademia Reale delle Arti nel Regno Unito), Benedetta Tagliabue (titolare dello studio Miralles Tagliabue con sedi in Spagna e in Cina) e Martha Thorne (direttrice del Pritzker Prize, il “Nobel” dell’architettura).

 

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La giuria
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Le giurate
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Un po’ di Expo. Ma il 2015 è anche l’anno dell’Expo. Da Expo Milano 2015 discende infatti WE-Women for Expo, un progetto che coinvolge un network di donne provenienti da tutto il mondo chiamate ad esprimersi sul tema della sostenibilità e del nutrimento. Presieduto da Federica Mogherini (Alto Rappresentante UE per gli affari esteri) e da Emma Bonino, è rappresentato in questa occasione dal suo presidente esecutivo, Marta Dassù, e dalla sua ambasciatrice Arianna Fontana, pattinatrice, vincitrice di un argento e quattro bronzi olimpici e della Coppa del Mondo di short track del 2012.

Il contesto della cerimonia di premiazione dell’ArcVision Prize diventa così l’occasione per attribuire un riconoscimento al giovane architetto Paula Nascimento, progettista del padiglione dell’Angola, al cospetto dell’ambasciatore del suo paese, Florencio Mariano da Conceiçao de Almeida, e del Commissario Generale per lo stato dell’Angola ad Expo 2015, Albina Assis Pereira Africano. Nascimento, trentaquattrenne, è descritta dal direttore scientifico di ArcVision Prize Stefano Casciani come «organizzatrice culturale di importanti esposizioni, progettista di installazioni ed edifici sensibili, attenta promotrice dei temi della sostenibilità e della ricerca di un suo nuovo linguaggio estetico». Il premio le viene assegnato perché la sua opera si ricollega direttamente al tema fondamentale dell’Expo: «L’uguaglianza delle popolazioni globali nel diritto all’alimentazione, nel rispetto dell’ambiente, nella ricerca di tecnologie e processi produttivi sensibili all’equilibrio planetario e alla sua conservazione per le generazioni future». Diana Bracco, presidente di Expo 2015 e Commissario del Padiglione Italia, dichiara di «apprezzare moltissimo lo sforzo per tutto quello che viene fatto qui». Riconosce «l’impegno di Italcementi nel comitato di ricerca e innovazione di Confindustria» e sottolinea che «la nostra Esposizione sarà ricordata come una delle più affascinanti e innovative».

 

Il premio a Paula Nascimento

 

Le prestigiose menzioni d’onore. Vengono premiate con delle menzioni d’onore (Honorable Mentions) tre architetti, presenti tra le finaliste. Kate Otten, sudafricana, ottiene un riconoscimento per opere sulle quali si riflettono i cambiamenti storici e sociali vissuti dal suo paese nell’ultimo trentennio. «Creare edifici che nutrano lo spirito umano e ispirino l’immaginazione»: è questo il suo motto, realizzato ad esempio nella trasformazione di una vecchia prigione femminile vittoriana in un campus per i diritti umani, il Constitution Hill di Johannesburg. Samira Rathod, indiana, riceve una menzione per l’originalità del suo lavoro e dell’utilizzo dei materiali nella realizzazione della Baroda Art Gallery, allo stesso tempo laboratorio d’artista e spazio espositivo. Infine la thailandese Patama Roonkrawit, descritta da Vera Baboun e Martha Thorne non solo come un architetto, ma come un’attivista sociale, che fa dell’attenzione ai bisogni degli indigenti (da lei considerati come i “clienti” più importanti) il leit motiv del suo lavoro. L’architetto thailandese si è distinto durante gli anni della ricostruzione del suo paese in seguito allo tsunami per l’originalità nell’utilizzo di materiali poveri nella realizzazione di opere funzionali.

La serata si conclude con una serie di interventi delle giurate sul tema del dialogo interculturale e interreligioso. Durante la conferenza stampa Shaikha Al Maskari sottolinea che dev’essere anche compito dei media contribuire alla costruzione di un dibattito positivo su questi argomenti, invece di porre costantemente l’accento «sull’odio e sulle cattive notizie». Ad un giornalista arabo che le ricorda che purtroppo il sistema dell’informazione è «un mostro che si nutre di brutte notizie» risponde così: «Noi tutte siamo di nazionalità differenti, religioni differenti e culture differenti eppure siamo qui a condividere le nostre esperienze, le nostre opinioni, e non ci distacchiamo dalla realtà. Ciò che diciamo è: in un contesto globale di sospetto reciproco, di odio reciproco, noi qui rappresentiamo la speranza».

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