Un articolo di The Atlantic

Shakespeare fumava marijuana? E chi ne sa nulla, davvero, di lui

Shakespeare fumava marijuana? E chi ne sa nulla, davvero, di lui
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Shakespeare fumava davvero erba? Alcuni articoli pubblicati questa settimana, come quello apparso sul The Indipendent, si chiedono se il più celebrato scrittore della storia anglosassone possa davvero aver fumato marijuana, dopo che alcune analisi forensi hanno rivelato la presenza di cannabis in alcune pipe rinvenute nel suo giardino. Edward Delman, sul The Atlantic, ha tirato fuori alcuni punti interessanti sulla presunta scoperta e l’eco che ha avuto. Ne riportiamo la traduzione.

 

Internet si è infiammato negli ultimi giorni, quando in tanti si sono chiesti se a William Shakespeare, il più venerato personaggio della letteratura inglese, piacesse davvero sballarsi un po’. I media da entrambi i lati dell’Atlantico sono saltati sulle sedie alla notizia delle analisi forensi fatte su alcune pipe rinvenute nel giardino di Shakespeare, e molti, la notizia che il Bardo dell'Avon potesse essere un fumatore di marijuana, l’hanno presa in modo leggero e irriverente. La gente era decisamente divertita dalla notizia, al punto che quasi nessuno si è accorto che non era per niente una notizia – quanto semplicemente la rievocazione di uno studio del 2001 (pubblicato sul South African Journal of Science, il link all’articolo originale è disponibile sul The Atlantic, ndr). Non è nemmeno la prima volta che i media tirano fuori la storia – infatti, anche nel 2011 erano stati pubblicati tanti articoli sulla questione. L’episodio è emblematico di un problema più ampio: l’enorme discrepanza tra l’adulazione pubblica di Shakespeare e la conoscenza storica dell’uomo stesso, e il desiderio di molti di riempire quel vuoto.

 

 

Lo studio in questione, effettuato dal ricercatore Sudafricano Francis Thackeray e dai suoi colleghi, certamente giustifica l’interesse pubblico. Thackeray, un antropologo, ha detto di voler scoprire se Shakespeare fumava marijuana dopo aver letto alcuni passaggi nei suoi poemi – in particolare il Sonetto 76, che contiene il verso «Perché ancora scrivo sull'unico stesso tema, limitando l'inventiva a un ben noto stile», (l’originale è «Why write I still all one, ever the same / And keep invention in a noted weed» – il dubbio nasce dalla parola weed, tradotta in Italiano con ‘stile’, ma che in Inglese è un termine usato per riferirsi alla marijuana, ndr), così come un riferimento a «strani composti» (in originale, compounds strange, ndr). Thackeray e il suo team hanno analizzato 24 frammenti di pipe rinvenute a Stratford-upon-Avon (città natale di Shakespeare, ndr) e dintorni, incluse alcune pipe ritrovate nella casa in cui nacque il Bardo e nella casa in cui abitò per una certa parte della sua vita, rinominata New Place. I test effettuati hanno rilevato un significativo utilizzo di nicotina e, più sorprendentemente, di cocaina – una scoperta affascinante per chiunque sia interessato a conoscere gli usi e i costumi dell’Inghilterra elisabettiana.

L’evidenza per la presenza di marijuana era meno sostanziosa. Lo studio del 2001 ha affermato che «la prova inequivocabile della presenza di cannabis non è stata ottenuta». I ricercatori hanno trovato alcuni indici nei composti rinvenuti nelle pipe che sono indicativi di composti derivati dalla marijuana, ma non in quantità sufficiente per poterne provare l’effettiva presenza. Lo studio afferma che la mancanza di prove può essere «associata agli effetti del riscaldamento, e ai problemi nell’identificare tracce di cannabinoidi in vecchi campioni», ma conclude, in ultima istanza, affermando che «i risultati suggeriscono, ma non provano, la presenza di cannabis». Thackeray mi ha detto che ha analizzato nuovamente i dati e crede che l’evidenza a favore della presenza di cannabis sia più sostanziale di quanto pensava prima, ma questa presunta rinforzata evidenza non appare in nessun nuovo bollettino ufficiale.

 

 

A parte la mancanza di una prova esaustiva a proposito della presenza di marijuana, è ancora più complicato collegare direttamente le pipe a Shakespeare stesso. (Le pipe, ndr) Sono state datate solo in relazione alle loro dimensioni – lo studio dice che «sono datate probabilmente al XVII secolo» (per la cronaca, Shakespeare morì nel 1616). La provenienza dei frammenti fornisce una prova leggermente più rilevante, anche se nessuno sa quanto tempo Shakespeare abbia effettivamente vissuto a New Place, la sua ultima casa, e il suo luogo di nascita diventò un albergo all’inizio del XVII secolo. A meno di fare delle analisi sul corpo stesso di Shakespeare (una soluzione che Thackeray ha proposto in passato), c’è davvero una sottile evidenza a proposito del fatto che Shakespeare fosse uno sballone.

Storie come questa continuano ad attirare l’immaginazione pubblica perché sono ancora disponibili pochissime informazioni a proposito di una delle figure più studiate della storia. Michael Witmore, direttore della Folger Shakespeare Library di Washington, mi ha fatto un riassunto di cosa si sa sul Bardo: nacque a Stratford-upon-Avon; si trasferì a Londra ed ebbe una carriera di successo come poeta, attore e sceneggiatore; si ritirò eventualmente dalla scena londinese per ritornare a Stratford, dove comprò una casa per sé e la sua famiglia. Ci sono ancora pochissime informazioni riguardo alla sua educazione, e ci sono sette interi anni della sua vita – dalla nascita dei suoi gemelli al suo arrivo a Londra – sui quali non ci sono informazioni di alcun tipo.

 

 

Non sorprende che nuovi indizi sulla vita di Shakespeare attirino così tanta attenzione. Prendete, ad esempio, il presunto ritrovamento del dizionario usato da Shakespeare da parte di due librai di New York, che ha portato ad un pezzo sul New Yorker in cui ci si interrogava sull’appetito collettivo per le reliquie appartenute al drammaturgo. Diversi articoli usciti all’inizio di quest’anno hanno riportato la notizia secondo cui un’immagine raffigurante Shakespeare era stata scoperta in un libro di botanica del tardo XVI secolo, un fatto che aveva aggiunto un altro tassello al puzzle di dipinti che si presume rappresentino il “vero” Shakespeare. E questo senza inoltrarsi negli articoli che suggeriscono che Shakespeare fosse cattolico, gay o che si chiedevano: ha davvero scritto le opere che gli si attribuiscono?

Molte di queste teorie finiscono per essere smentite e smontate dagli studiosi di Shakespeare, in particolare per la loro incapacità di rispettare i criteri specifici di autenticità imposti dagli studiosi. «Lo standard è molto alto in relazione ad una nuova scoperta su Shakespeare», ha detto Witmore, «e questa non è un’asserzione che si può dubitare». Gli studiosi devono essere in grado di analizzare tutte le spiegazioni alternative prima di poter accordarsi sul fatto che una determinata cosa sia attribuibile al Bardo. Witmore e il suo collega Heather Wolfe, in risposta alla scoperta del dizionario, hanno fornito un’ampia panoramica contenente una scrupolosa procedura di verifica dei fatti che gli studiosi dovrebbero seguire. Sfortunatamente, quello che non riceve molta attenzione pubblica è quello che gli studiosi verificano e scoprono, come il fatto che Shakespeare abbia avuto probabilmente un co-autore per più di un terzo delle sue opere teatrali, dice Witmore.

Solo perché la maggior parte delle scoperte su Shakespeare tende ad essere inaffidabile non significa che in futuro, all’annuncio di nuove scoperte, ci sarà meno entusiasmo. «È sorprendente che qualcuno possa aver scritto così creativamente per così a lungo, e che un pacchetto di opere continuino a parlare alle persone, e che una lingua in disuso si adatti così bene ai nuovi tempi», ha detto Witmore. «È fondamentalmente difficile da spiegare, e in un certo senso è sia una fonte d’ispirazione che, visto come traguardo, qualcosa da mistificare, il che spiega perché abbiamo ancora oggi così tante domande». Il prossimo anno sarà il 400esimo anniversario della morte di Shakespeare, il che significa che le ricerche sono appena cominciate.

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