Al Creberg Teatro

Si cambia in meno di due secondi Brachetti, trasformismo e poesia

Si cambia in meno di due secondi Brachetti, trasformismo e poesia
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Il quadro appeso al muro è solo un quadro? Quando spegniamo la luce siamo sicuri che i libri non si muovano? In televisione ci sono solo immagini in movimento o persone vive e vegete? Reale e surreale, verità e finzione, magia e realtà: tutto è possibile nella grande casa dei sogni di Arturo Brachetti. Anche perché dentro ognuno di noi esiste una casa segreta, senza presente, passato e futuro, in cui conserviamo i sogni e i desideri. Figuriamoci dentro di lui, simbolo vivente della realtà immaginata. Quella che ci rende più felici.

Il corpo di Brachetti diventa veicolo di comunicazione artistica ed emozionale. Riesce come nessun altro a shakerare il brio trasformista del mimo con la clownerie en travesti più fantasiosa. In un battito di ciglia cambia abito, e soprattutto anima, sotto gli occhi del pubblico. Ora è Rossella o’Hara, un secondo e mezzo dopo un mariachi messicano. Poi una diva del charleston e un cosacco sulle rive del Don. Un Bolt del palcoscenico, insomma, che stasera e domani (inizio ore 21) porta al Creberg Teatro il suo ultimo show, Solo. «Qualcosa di simile all’assolo di un grande musicista – racconta Brachetti, che può permettersi di non essere modesto -: sono solo in scena a giocarmi le mie carte, che sono poi quelle che mi hanno reso celebre un po’ dappertutto. Il titolo è tattico, visto che la tournée girerà l’Europa: una parola italiana utilizzata anche all’estero. E nello spettacolo c’è molto della tradizione italiana: dalla chapeugraphy (il numero del cappello, ndr) alle ombre cinesi». Il fil-rouge dello spettacolo è, come abbiamo anticipato in apertura, una casa. Piccola, in prima istanza: una casa delle bambole. «Si entra con una webcam – spiega Brachetti – alla scoperta della varie stanze. C’è il soggiorno, la stanza delle apparenza; la camera dei bambini, stanza dell’innocenza; il bagno, stanza del bisogno. E così via. Ogni stanza mi dà il la per un argomento che poi io sviluppo durante i numeri».

Arturo Brachetti
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Una casa surreale, insomma, fatta di ricordi e di fantasie. Una casa senza luogo e senza tempo, in cui il sopra diventa il sotto e le scale si scendono per salire. In scena 50 nuovi personaggi. Tra Magritte e la musica pop, passando per le favole e Matrix, gran ritmo sul palco per 90 minuti. Ci sono anche la sand painting, ovvero i disegni sulla sabbia, e tanti raggi laser. «Ci sarà una sorpresa ogni 20 secondi: tengo alta l’attenzione dello spettatore, perché sono da solo in scena ma ci sono 13 tecnici che mi seguono. Mi fermo soltanto di fronte alla stanza numero 8 – anticipa il trasformista -, quella più segreta. Perché questa casa è una metafora della nostra personalità, del nostro carattere. Non bisogna far vedere tutto a tutti, sempre. Qualcosa deve restare nascosto». Il cameraman, però, alla fine riesce a entrare anche in questa stanza 8: è vuota, ma è la più potente di tutti, perché ci permette di essere chi vogliamo e dove vogliamo. Del resto «la realtà immaginata è quella che ci fa più felici. Il rapporto dell’uomo con l’illusione è ottimo dalla notte dei tempi. L’illusione ci sarà sempre, nonostante i progressi della scienza e della tecnologia. L’uomo quando chiude gli occhi può volare, può trasformarsi, può sparire, far comparire dei soldi, far svanire la suocera (ride). Cose che nella vita reale non può fare. Tutti i giorni, poi, diamo vita a qualche illusione, come le signore che si tolgono qualche anno su Facebook o quegli uomini che dicono di avere tre fidanzate e invece non ne hanno neanche una. O ancora, quelli che fingono di avere i soldi prendendosi il macchinone a rate o le mamme che dicono che il figlio gay si sta per sposare. Piccole bugie che ci aiutano a sopravvivere: white lies, bugie bianche, dicono gli inglesi».
Brachetti, dunque, mette in scena il sogno, «ma io faccio sogni brutti, la notte. Tremendi. Di solito sono incubi legati alla lotta contro il tempo, che fa parte del mio mestiere. Sogno di avere ancora sei piani da fare a piedi, senza ascensore, per arrivare sul palco, mentre la voce fuoricampo mi annuncia. E c’è il tempo che vorrei fermare, perché ho 60 anni fuori ma 15 anni dentro. Sindrome da Peter Pan, la chiamano».

La parte internazionale del tour prenderà il via a settembre da Parigi, «dove sono decisamente di casa, tant’è che c’è una mia statua al Museo delle Cere da 5 anni – annota Brachetti con orgoglio -. Ce ne sono altre tre, in giro per il mondo, di mie riproduzioni di cera: Montreal, Praga e in Svizzera. Ma la prima è proprio quella di Parigi. Lì mi hanno adottato. Mi hanno anche fatto Cavaliere delle Arti e delle Lettere, per dire».

Velocità di cambio da Guinness. Faccia da Tintin senza età, con quel ciuffo che punta dritto allo zenith. Mito vivente della visual performing art, dicono gli esperti. Trasformismo in forma di magia a teatro, traduciamo noi. Con il contributo di comicità, illusionismo, giochi di luci, poesia e cultura. Arturo Brachetti nasce e Torino nel 1957 ma la sua carriera comincia a Parigi. A soli 20 anni reinventa e riporta in auge l’arte dimenticata di Fregoli – il trasformismo, appunto - diventando per anni l’attrazione di punta del Paradis Latin. Da qui in poi la sua carriera è inarrestabile, in un crescendo continuo. In Francia è più celebre che da noi: su TF1 è stato giudice delle due stagioni di «The Best», successo televisivo dedicato ai migliori performer professionisti. Ha lavorato con tante celebrità, ma spicca il rapporto storico e speciale trio Aldo, Giovanni e Giacomo. I suoi cambi d’abito sono così veloci che sono stati registrati nel Guinness World Records: meno di 2 secondi per un cambio. Ma è anche inserito nei primati come il quick change performer più attivo con oltre 250mila cambi realizzati finora nella sua carriera. I suoi registi preferiti sono Tim Burton e Federico Fellini; l’attore che predilige è Charlie Chaplin; il pittore che ama di più è Magritte. E per tenersi in forma fa ginnastica alle 2 di notte davanti allo specchio, in slip: così si vedono bene i rotolini di ciccia, dice.

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