Simone Consonni: «Qualcosa di straordinario per chi viene da una famiglia di paese»
Ripubblichiamo l'intervista all'ormai campione olimpico realizzata un mese fa. «La passione mi è cresciuta piano piano, io l’ho coltivata con costanza, ma senza pressioni o esasperazioni»
Ripubblichiamo l'intervista realizzata da Marta Belotti all'oggi campione olimpico Simone Consonni per il nostro settimanale cartaceo del 9 luglio scorso.
«La passione mi è cresciuta piano piano, io l’ho coltivata con costanza, ma senza pressioni o esasperazioni; ora, il ciclismo è diventato il mio lavoro e non potrei immaginare una vita senza bici». Simone Consonni, classe 1994, cresciuto a Brembate Sopra e da tre anni trasferitosi a Lallio, è risalito in volata agli onori della cronaca con il secondo posto alla diciottesima tappa del Giro d’Italia lo scorso giugno.
Tuttavia, se l’attenzione dei più è concentrata sul Giro d’Italia, per chi segue il ciclismo con il nome di Consonni la familiarità è già alta. «Questo è stato il mio terzo Giro d’Italia e devo dire che, come sempre, è stata un’emozione fortissima. Questa competizione è una delle più sentite dagli italiani e per noi atleti rappresenta ogni volta una scarica di adrenalina fortissima. Sentire i tifosi e le persone che in salita gridano il tuo nome per incitarti è qualcosa di fantastico!», esclama Simone, quasi rivivendo quegli attimi e quelle grida che lo hanno accompagnato e spronato nei momenti più importanti del giro.
«Il mio ruolo è sempre stato quello di uomo d’appoggio del capitano velocista. Io gli sono a supporto negli ultimi 200, 300 metri, ma quest’anno sono riuscito anche a ritagliarmi un po’ di spazio, posizionandomi in una tappa secondo e in un’altra quarto. Nel ciclismo, quando diventi professionista dopo la trafila giovanile, o sei un fuoriclasse con numeri incredibili e allora diventi subito il leader, altrimenti ti costruisci negli anni, a suon di chilometri, esperienza e fatica».
Intanto Simone di chilometri ne ha macinati parecchi, tanto su strada quanto su pista. Il prossimo obiettivo è proprio in indoor, alle Olimpiadi di Tokyo 2021. «Ci siamo qualificati in tre discipline su pista e ora la mia mente è tutta protesa a portare a casa degli ottimi risultati insieme ai miei compagni. In realtà, non si tratta della prima olimpiade per me, avendo già partecipato a quella di Rio, che però è stata un po’ particolare. Nella disciplina dell’inseguimento a squadre non ci eravamo classificati, ma per poco. Successivamente, però, la Russia venne squalificata e per questo l’Italia rientrò nella competizione. Qualcuno di noi era al mare, in giro per il mondo, oppure, come me, in montagna e da un momento all’altro ci ritrovammo a dover affrontare un’Olimpiade. Devo dire che alla fine riuscimmo a portare a casa un buon risultato. Quest’anno, la squadra è ancora più forte e soprattutto siamo mentalmente connessi e concentrati. Sappiamo di poterci giocare la medaglia; il problema è che ci sono altre cinque squadre davvero forti, alla nostra portata, ma forti. Trattandosi di una disciplina di precisione, nella quale il minimo errore può portarti dal primo al quinto poso sarà tutta da giocare sul momento e la concentrazione dovrà essere massima».
Lo sguardo di Simone è fisso e concentrato sulle future olimpiadi; tuttavia, l’atleta non rinuncia a rimandare alla mente gli inizi della sua passione per il ciclismo. «I miei non hanno mai avuto interesse per il ciclismo e il mio avvicinamento a questo sport è stato casuale. I figli di un amico di mio padre andavano tutti i pomeriggi a giocare al velodromo di Brembate Sopra e io li seguivo per divertirmi. Ho deciso poi di entrare nella ciclistica di Brembate, dove sono rimasto per dieci anni fino al passaggio agli esordienti, e poi da lì sono arrivate le prime vittorie, i primi passaggi in squadre importanti e, a 15 anni, le convocazioni in nazionale. Passare dal “Mi raccomando, puoi uscire in bici, ma non andare oltre la rotonda di Brembate” al prendere un volo per la Russia è stato qualcosa di straordinario per chi come me veniva da una famiglia di paese, che non nutriva sul figlio con grandi aspirazioni di successo. Questa credo sia stata la mia fortuna: genitori che mi hanno sempre supportato, ma senza crearsi e riversare su di me ansie, pressioni, aspettative. Molti giovani si rovinano a causa di tutta quest’ansia da prestazione, spesso alimentata da allenatori, genitori, compagni stessi. Io invece ho sempre avuto la fortuna di crescere in un ambiente che mi ha supportato, aiutato e ricco di persone che mi hanno permesso di scegliere quello che volevo fare e quello che non volevo fare. Se uscire in bici ti fa stare bene, fallo, perché, nonostante le rinunce richieste da uno sport severo come il ciclismo, i risultati arriveranno da sé».
Una risalita lenta e graduale che lo ha portato fino ai più alti risultati, per Simone Consonni si è trattato di un percorso quasi tranquillo e regolare, ma, come per ogni atleta, costellato di sacrifici. «Momenti di difficoltà o di crisi ci sono per tutti. Quando ero più piccolo, un ragazzino, vedere gli altri miei amici uscire il sabato sera, andare in discoteca, tornare tardi, mentre io ero costretto a rimanere a casa, addormentarmi alle 10, perché il giorno seguente avrei avuto una gara non è sempre stato facile. Più volte mi chiedevo perché avessi deciso di tirarmi matto in quel modo. Tuttavia, credo che questi momenti di crisi ci stiano, ma ho sempre avuto la determinazione di superarli. In questo periodo, un ruolo fondamentale l’ha avuto la mia ragazza Alice, con la quale convivo da tre anni, perché è sempre stata capace di supportarmi e aiutarmi. Mi capisce, mi incita e qualche volta mi ha dato anche qualche bella strigliata, ma tutto funzionale a farmi stare concentrato e a dare il meglio; per questo sento di doverla ringraziare immensamente».