Sö, scècc (forza, ragazzi!) A proposito di disagio mentale
Il terrore corre sul filo. Un articolo di adn.Kronos del 29/03/2015 intitolato: «Disagio mentale, in Europa è "pandemia": 165 mln con disturbi» comincia così:
Ansia, depressione, demenza, dipendenza da alcol e droghe, disagio psicologico che spesso si trasforma in sofferenza fisica. Nel 2030 i disturbi mentali saranno le malattie più frequenti nel mondo, ma nell'Europa della crisi sono già pandemia: la sfida sanitaria del Terzo millennio, che colpisce secondo gli ultimi dati disponibili il 38,2% degli abitanti del Vecchio continente, per un totale di quasi 165 milioni di pazienti su una popolazione di 514 mln. Dei malati, appena uno su 3 riceve farmaci o altre terapie. Per 2 su 3 nessuna cura.
E che diamine! A qualcuno vien forse voglia di continuare a leggere?
Un quadro drammatico che attende aggiornamenti in questi giorni a Vienna, dove è in corso il 23esimo Congresso dell'Epa, l'Associazione europea di psichiatria. Il summit 2015 riunisce dal 29 al 31 marzo esperti da 88 Paesi del pianeta, membri di 37 enti nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali.
D’accordo, le righe sopra forniscono il quadro istituzionale della notizia. Il peggio viene dopo:
Sulla scala della disabilità "Daly" (anni di vita persi per mortalità precoce o vissuti in malattia), le patologie mentali sono sul primo gradino del podio europeo (26,6%). «Quelle con un impatto maggiore sono la depressione (7,2%) e l'Alzheimer (7,3%), oltre ai problemi legati all'abuso di alcol (3,4%) di cui oggi si parla troppo poco, ma che nella Penisola interessano circa 2 milioni di persone», spiega all'Adnkronos Salute Claudio Mencacci, ...
seguono una riga e mezzo di titoli prestigiosi e meritati.
Dopo i quali, comunque, ci si ferma perché, soprattutto se si ha avuto a che fare di taglio o di punta con qualcuna delle patologie sopra nominate, si teme di cadere nuovamente in preda ad un attacco depressivo grave o a forme d’ansia intermittenti, di non dormirci la notte o di farsi riprendere da uno di quei disturbi somatoformi che non si sa bene cosa siano ma comunque non sono cose allegre. Non c’è niente di allegro nel disagio mentale. Però chi è sano - o chi tale si ritiene, perché in fatto di salute le opinioni sono molto divergenti - può cercare almeno di prendere la cosa con qualche ironia. Un po’ per celia e un po’ per non morire, come cantava Cio-Cio-San, ossia Madame Butterfly poco prima di suicidarsi. Dove si può celiare, ovviamente, perché in genere non è possibile far altro che arrendersi.
Potremmo tentare di dire che, come succede ad altre categorie, psichiatri e neuroscienziati stanno cercando di crearsi un mercato mettendo tutti nella sgradevole condizione di avvertire i sintomi di una malattia di loro spettanza quando ne incontrano la descrizione. In fondo - si dice sempre così quando si vuole fuggire - ansia e una qualche depressioncella l’hanno avuta tutti, chi più chi meno, e chi non l’ha avuta l’ha fatta venire agli altri. Ma non è vero. Sono brutte bestie sia la prima che la seconda e quindi sarebbe bene dichiararsele da sé e poi farsi aiutare. Adesso dicono che siano stati fatti grandi progressi rispetto alla gloriosa era del Prozac che scrittori e cineasti americani trattano manco fossero i Ruggenti Anni Venti. Non capita più di sentirsi dire da illustri clinici in vena di confidenza davanti a un bicchiere di Bourbon che tutto l’universo degli psicofarmaci è nato da tre - dicasi tre - studi la cui verifica è stata del resto abbastanza dubbia. Quando uno si sente dire una cosa simile se anche l’ansia non ce l’ha, un po’ gli viene. Ma adesso non capita più.
Oppure viene da pensare alla massa di notizie sulle patologie più bizzarre riportata nel fondamentale Edward Shorter, Psicosomatica. Storia dei sintomi e delle patologie dall’Ottocento a oggi. Feltrinelli [qui un estratto] nel quale si vede benissimo come nella gran parte dei casi i sintomi di una malattia non appartengano affatto al paziente ma siano indotti dal livello raggiunto dalla medicina in una certa epoca e in un certo contesto sociale. La quale medicina, per parte sua, sembra più preoccupata di se stessa e della propria gloria che di “guarire” i mali che - anche questo è accertato - le gente tende spesso ad inventarsi per potersi collocare nel mondo. Con ciò non si vuol dire che il disagio mentale non esista. Si vuol solo dire che potrebbe essere indotto da chi se ne propone il terapeuta.
Giusto ieri, giracchiando in libreria, ho visto un titolo che mi è parso interessante: Abbiate il coraggio di essere felici. È di Marco Pappalardo e contiene pensieri del Papa per i giovani. Ma in che mondo viviamo, mi sono detto, se per essere felici ci vuole del coraggio? Una volta, par di ricordare, si era felici e basta. E invece no: ha ragione il Papa, perché sa che la felicità non fa fine, in certi ambienti. Immaginatevi Woody Allen e i newyorkesi suoi senza una qualche patologia di quelle trattate da Vienna: sarebbero nessuno. Pensate Juliette Greco e i maglioni alti, neri delle Caves esistenzialiste di Saint-Germain-des-Prés: se qualcuno fosse stato trovato contento da quelle parti poteva rischiare il linciaggio.
E dunque è giusto che a Vienna studino il modo di porre rimedio al Mental Disease. Sarebbe già un risultato se non lo provocassero. Per il resto, come si dice a Bergamo, sö, scècc!, che è sempre meglio viver malati (non tanto, magari) che morire guariti. La compagnia non manca.