Come la Loren entrò in casa mia
Sophia Loren compie 80 anni. I compleanni degli altri sono in qualche modo anche i propri. Si cercano i punti di contatto, inevitabilmente, tra le storie. Quella di Sofia Loren è entrata nella mia una domenica pomeriggio, in casa di mia nonna. Pioveva e c’era la tv accesa. A un certo punto appare sullo schermo una donna bellissima, ma bella sul serio, che non avevo mai visto. Attorno al tavolo cala il silenzio. Le teste si girano tutte nella stessa direzione. Fu a questo punto che, alzando lo sguardo dal suo agucchiare seduta sul divano e indicando con la mano un punto appena sotto la mandibola destra, la vecchia donna di servizio, come si chiamavano allora, pronunciò con un lieve moto di disgusto questa indelebile sentenza: «La l’ha un chè». Nel suo dialetto significava: «Ha un punto, qui, sotto l’orecchio, che non va proprio bene». Insomma: non è poi quella bellezza che tutti dicono. Da allora in poi, in famiglia, «La l’ha un chè» ha costituito il marchio di qualità superiore, il sigillo definitivo riservato soltanto a bellezze straordinarie, di quelle che ti lasciano secco. Come Sofia Lorén, perché questa, napoletana come le carte, è l’esatta pronuncia del suo nome.
Il secondo appuntamento tra i nostri destini si tenne in casa di un cugino del babbo, la cui moglie, molto intelligente e simpaticissima, sentivo che parlava con mia mamma (noi altri bambini giocavamo in un’altra stanza) di un vestito che la Pina (la sarta che avevano in comune) le aveva fatto proprio male, per non dire malissimo, che - vedi qui? - tirava un po’ da tutte le parti. Secondo mia mamma, che ogni tanto interveniva, l’abito non presentava, invece, alcun difetto rilevante. Ma la zia - che era simpaticissima e intelligente, ma messa insieme senza troppa grazia - non demordeva e a un certo punto capii che era andata a prendere una rivista dalla quale aveva tratto il modello: un numero di Oggi, o de L’Europeo o di un rotocalco qualsiasi che leggevamo anche noi, in casa, in cui Sofia Loren compariva in tutta la sua sfolgorante bellezza con l’abito cui la Pina avrebbe dovuto ispirarsi. Era vero: lì, in quella foto, faceva una figura molto diversa. Non tirava da nessuna parte, era scollato giusto, forse un filino meno di quanto ci si sarebbe augurati, ma andava già bene così. Era scuro e la parure di brillanti di Sofia Lòren - come si pronunciava in casa - ci stava proprio bene. Diomìo che schianto, quella ragazza.
Che, per me, è legata soprattutto a due o tre film cosiddetti minori, perché non è che si può parlare della Loren per lo spogliarello davanti a Mastroianni o per il mambo di Pane, amore e… con De Sica. Queste cose le sanno tutti, come sanno de La Ciociara e di altri capolavori. Quando fa la pizza nell’Oro di Napoli. Va bene, lo sappiamo. Ma la Loren straborda da questi francobolli celebrativi, si insinua nella vita comune, c’è sempre. I mio preferito, dei minori, è Il segno di Venere. Perché c’è Roma anni Cinquanta, i tram, il Diurno alla Stazione Termini, i nuovi quartieri che sorgono. Nostalgia da paura. Sofia/Agnese è la cugina di Franca Valeri/Cesira. La prima fa innamorare tutti, la seconda nessuno la guarda. Un film struggente, perché davvero Agnese sembra una donna che potresti incontrare sul tram tornando a casa. E invece non la troverai mai, perché lei è unica. Però la speranza, il film, te la lascia. L’altro film in cui la Loren è incredibile è solo un episodio di un film: si chiama La riffa, inserito in Boccaccio 70, opera di quattro registi diversi. La Riffa (la lotteria) è girato nella città da cui proveniva «La l’ha un chè», e quindi noi conoscevamo diverse fra le comparse. Ma soprattutto ci venivano in mente i tipi, fra cui il sacrestano Cospetto, che - vincendo la lotteria - avrebbe dovuto avere in premio la donna del tirassegno (la Loren, appunto). Ma Cospetto (C:spèt, in romagnolo) è uno magrolino, rintanato nei suoi vestiti grigi, uno che si capisce subito che non c’entra niente con la strapotenza della giovane del baraccone. E c’è un dialogo, nella roulotte di lei, in cui si evidenzia come mai altrove né al cinema, né in un romanzo, né da nessun’altra parte, l’abisso che separa la femmina dal maschio. È il punto in cui si capisce perché è nato il maschilismo: per la stessa ragione per cui i bianchi sono razzisti nei confronti dei neri: l’invidia innominabile, un senso di inferiorità radicale.
C’è poi anche un’altra cosa da dire, che sembra che non c’entri con Sofia Loren e invece c’entra. Alla fine di ognuno dei tre episodi di Ieri, Oggi, Domani (o all’inizio, non ricordo bene) - il film di De Sica in cui c’è il famoso spogliarello - la macchina da presa indugia a lungo sulle città in cui si svolgono le storie: Napoli, Roma, Milano. Sono tre scene struggenti che valgono, ciascuna, il doppio della Grande Bellezza tutta insieme. Paesaggi che sembrano il sonno di una donna al primo trapelare della luce fra le persiane. L’Italia nostra meravigliosa. Sofia Lorèn diffusa.