Brera lo chiamava "Schopenhauer"

I miracoli operai di Osvaldo Bagnoli (uno che sapeva vincere e perdere)

I miracoli operai di Osvaldo Bagnoli (uno che sapeva vincere e perdere)
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Forse una delle più belle Osvaldo Bagnoli l'ha detta con quel ghigno a mezza bocca che ancora oggi lo contraddistingue da tutti gli altri uomini del balòn: «Quando allenavo il Rimini ero contestato. Fui costretto a scappare come un ladro. Per questo, se posso, esco sempre dalla porta di servizio: mi alleno per i tempi duri». Se ancora non conoscete la storia dell'uomo dei miracoli, dovete sapere che dietro c'è tutto il bello e il difficile del nostro paese e anche di più. La racconta Matteo Fontana, giornalista della Gazzetta dello Sport e del Corriere del Veneto, che esce in libreria con "Il miracoliere - Osvaldo Bagnoli, l'allenatore operaio" (ed. Eclettica, 324 p., 18 euro). Oggi le figure come quella di Bagnoli sono sempre meno. Per fortuna che ci sono i libri e le leggende a raccontarcele.

 

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Un eroe operaio. Venuto al mondo prima della Seconda Guerra, nel '35, Bagnoli ha attraversato gli anni del boom economico, quelli dell'Italia che saltava in aria con le bombe nelle piazze, sui treni e nelle stazioni, arrivando fino al calcio di oggi che, come ha detto lui giusto pochi anni fa, «è brutto quanto la mia Milano». Accontentandosi di bofonchiare quando necessario e perché tirato in ballo, di stupirci ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno. Di Bagnoli ancora oggi sorprende la normalità quasi necessaria, data quasi per contratto con la vita, un eroe operaio ammantato da quel senso di eleganza che ormai, ahinoi, non producono proprio più. Bagnoli, uomo perfetto per la penna di Gianni Brera, che infatti aveva preso a chiamare "Schopenaurer" per quel suo modo meditativo (perennemente) di guardare il mondo. Da sotto il suo cappello da turnista. «Appena si abbassa la temperatura, io ho sempre il mio cappellino in testa. Ma non è un vezzo. Soffro di sinusite e all'inizio mi curavo con i fumenti, l'acqua calda e la camomilla. Fu un medico, tanti anni fa, a dirmi: mettiti il cappello e non toglierlo più. John Lennon non c'entra. Mica indosso sempre lo stesso modello», ha detto un'altra volta. Una figura che Fontana ricostruisce tassello dopo tassello, miracolo dopo miracolo nel suo libro.

 

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Ha portato il Genoa in Europa. C'è dentro tutto il Bagnoli raccontato dai ragazzi di allora, uomini di oggi, che con lui hanno vinto e anche perso, comunque sempre incantato, e che insieme all'Osvaldo nazionale hanno condiviso la storia dell'Italia e del pallone. Ha portato il Genoa in Europa, dato all'Inter il primo, pazzo spirito della rimonta dopo essere stato vicino alla panchina del Milan per intercessione di Brera, che fece il suo nome a Berlusconi. Ha detto Bagnoli al Corriere della Sera nell'ultima intervista rilasciata l'anno scorso: «Io sono apolitico. Votavo socialista solo perché mio padre era socialista. Però è vero che Brera fece il mio nome a Silvio Berlusconi».

Soprattutto Bagnoli ha conquistato lo scudetto a Verona negli anni, i mitici Ottanta, in cui il paese cercava nuove favole con cui alimentarsi. Ha preso una squadra che galleggiava tra la A e la B e l'ha trasformata in una formazione in grado di vincere lo scudetto. Proprio a Bergamo, il 12 maggio del 1985, il Verona ha conquistato quello storico successo. Scrive Fontana nel suo libro: «Il gol dello scudetto lo segna Preben Elkjaer, al 51’. Pareggia quello di Eugenio Perico per l’Atalanta. I minuti che mancano alla fine della partita sono colmi degli inni dei diecimila tifosi del Verona che sono arrivati al Comunale per celebrare una delle più straordinarie imprese sportive italiane di sempre: lo scudetto vinto dall’Hellas, guidato in panchina da Osvaldo Bagnoli». Di recente gli hanno chiesto se oggi il Verona dell' '85 rivincerebbe lo scudetto? Bagnoli, senza scomporsi troppo, ha risposto: «Il mondo è cambiato e forse è cambiato male».

 

https://youtu.be/DmTz6Zrfklc

 

La solfa della salvezza prima di tutto. L'essenza di Bagnoli sta lì, in quel miracolo sportivo compiuto con l'Hellas, qualcosa di irripetibile. Il suo è stato un calcio anche d'avanguardia, di sofferenza, di umiltà. Un calcio operaio ma vero. Tutte cose che il Miracoliere di Fontana mette in luce. Ha detto Bagnoli in un'intervista alla Gazzetta dello Sport: «La squadra dello scudetto cominciammo a costruirla quando arrivò Emiliano Mascetti come direttore sportivo. La parola scudetto la pronunciammo per la prima volta all’ultimo dell’anno. Un gruppo di giocatori era andato a Cavalese, in montagna, a passare San Silvestro con mogli e fidanzate. Io no. Giorni dopo, mi riferirono che Piero Fanna al brindisi aveva proclamato: «Possiamo vincere lo scudetto». Allora in spogliatoio feci un discorso: "Ragazzi, anch’io comincio a crederci, però nelle interviste dobbiamo continuare con la solfa della salvezza prima di tutto”. E così fu».

E fu così che iniziò a nascere il mito di Bagnoli. Il tempo, poi, lo ha reso leggenda. Ma Osvaldo Bagnoli non è stato solo questo. Ha colto promozioni a Fano e a Cesena, esaltato le folle, incantato la gente. Seguaci di Bagnoli se ne trovano dappertutto. All'inizio degli anni Novanta, dopo un secondo posto all'Inter e il ben servito, ha risposto con il ritiro dal calcio. Adesso, con gli occhiali a cavalcioni su quel naso arcuato e ingombrante, passa le ore senza ridere troppo, come ha fatto sempre. Nel 2006 al Corriere della Sera ha detto di essere stato deluso dai giovani calciatori, che «pretendevano tanto e davano poco», e (ha aggiunto) quando un insegnante non sopporta più i suoi allievi è meglio che smetta. Sì, è vero. Però che peccato.

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