Storie e ricette di cinque cocktail

Chi ha inventato il Mojito?

Chi ha inventato il Mojito?
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Una bevanda in grado di deliziare papille gustative e iridi, in grado di abbinare la forza dell’alcol alla delicatezza dei più svariati aromi. I cocktail sono una piccola coccola che ci regaliamo ogni tanto (meglio non esagerare), da goderci in compagnia o in un personale momento di relax. Strano scoprire che questo vizio sia nato in un periodo in cui proprio quel vizio era vietato: la storia dei cocktail inizia infatti durante il proibizionismo americano (1919-1933), quando la scadente qualità della maggior parte dei liquori prodotti illegalmente portò molti baristi a mescolarli con altri ingredienti e aromi in grado di renderli piacevoli al gusto. È vero che già esistevano dei cocktail prima di allora, come conferma la pubblicazione della prima guida di ricette, datata 1862 e redatta dal professor Jerry Thomas, ma in essa ciò che differenziava i cocktail dagli altri mix di liquori era l’uso degli amari, ingrediente quasi sparito dalle moderne ricette figlie del proibizionismo.

Ogni cocktail ha il suo sapore, il suo momento di degustazione, la sua estetica e, soprattutto, la sua storia. Tra leggende e miti, ecco cinque storie per cinque famosissimi cocktail.

 

Negroni, nobiltà italiana

 

Noi italiani, forti del’alta qualità dei nostri vini, non siamo mai stati dei grandi creatori di cocktail, ma l’aperitivo è, del resto, un’invenzione tutta nostra. Quel momento che anticipa la cena e stuzzica il nostro appetito va onorato con cocktail alla sua altezza, quali il Negroni. L’inventore di questo mix di gin, Campari e vermouth rosso fu ideato nel 1920 dal conte Camillo Negroni, a Firenze, e realizzato dal suo barman di fiducia Fosco Scarselli al Caffè Casoni in via de’ Tornabuoni a Firenze (oggi Caffè Giacosa di proprietà dello stilista Roberto Cavalli). Stanco del solito aperitivo Americano, chiese di sostituire il seltz con una spruzzatina di gin in onore dei suoi recenti viaggi londinesi. Sapore più intenso, ma soddisfazione maggiore: fu un successo. In tanti cominciarono a richiedere un “Americano alla moda del conte Negroni”, che divenne col tempo semplicemente un Negroni. Nobiltà italiana per un aperitivo coi fiocchi.
Ricetta: 1/3 Campari, 1/3 vermouth rosso, 1/3 gin

 

Mojito, dai pirati a Cuba

Profumato, fresco, dolce e dissetante: il Mojito è comprensibilmente uno dei cocktail più amati (e consumati) al mondo, tanto che la sua storia vive tra leggenda e realtà. Leggenda narra che, dietro al più noto cocktail cubano, ci sia in realtà un inglese, precisamente Francis Drake, noto come “El Draque” (il drago), pirata. Nel 1578, dopo un ricco saccheggio, Drake fece tappa, con il suo equipaggio, a la Isla de la Juventud, una piccola isola di Cuba, dove gli uomini poterono abbeverarsi: menta schiacciata, spirito locale (rum non filtrato) e limone verde. Drake se ne innamorò e ribattezzò quel mix di sapori Draque, in onore del proprio soprannome. Circa tre secoli dopo il vero e proprio rum cubano sbarcò sul mercato e nella prima metà del ‘900, il barman Attilio De La Fuente, ideò dietro al bancone de La Bodeguita Del Medio (bar de L’Avana divenuto famoso perché frequentato da Ernest Hemingway) il primo Mojito moderno, così chiamato perché molto dissetante (in spagnolo la parola “umido” si traduce “mojadito”). Fu un successo: flotte di americani giungevano a Cuba dalla vicina Miami, dove il proibizionismo era ancora in vigore, e il mojito divenne la loro bevanda preferita. Come dargli torto?
Ricetta: 10, 12 foglie di Hierba Buena (menta); rum chiaro silver dry o carta blanca (4/7 cl in base ai gusti); zucchero di canna; succo di lime e soda.

 

Black Russian, in onore dell’amore

Il suo sapore dolce contrasta quasi con il colore intrigante e cupo, ma si abbina perfettamente al motivo per cui Gustave Tops, barman dell’hotel Metropole di Bruxelles, lo creò nel 1949: l’amore. L’uomo, durante il suo lavoro, si accorse di una bellissima donna che frequentava abitualmente la sala bar dell’hotel e, senza mai parlarci, se ne innamorò. Scoprì che si trattava di Perle Mesta, ambasciatrice americana. Approcciarla, per lui umile barman, era praticamente impossibile. Per questo decise di inventare un cocktail in suo onore e per poterla corteggiare: vodka, tipico liquore russo, e caffè a scurire la bevanda. La Russia, rivale degli Stati Uniti, messa in un bicchiere e conquistabile con una semplice alzata di bicchiere; le tenebre del cocktail contrapposte alla illuminante bellezza della donna. Così nacque il black russian. Nessuno sa se Tops riuscì mai a conquistare la sua amata, ma ha conquistato il cuore di tanti fan di questo cocktail.
Ricetta: 7/10 Vodka; 3/10 Kahlua.

 

Long Island Iced Tea, il più imitato

La storia di questo cocktail prettamente estivo non è così antica come quella degli altri: nasce nel 1970, all’Oak Beach Inn di Babylon, Long Island, New York, grazie al barman Robert “Rosebud” Butts. La sua volontà era quella di dare vita ad una bevanda alcolica in grado però di rinfrescare e dissetare. Risultato che è stato pienamente raggiunto, tanto che, sia per la colorazione che per il sapore, il cocktail venne paragonato al thè freddo. È invece privo di ogni fondamento il mito che lo vorrebbe legato al periodo del proibizionismo, quando per sviare i controlli venne inventata una bevanda alcolica che ricordasse nell’aspetto il thè. Il Long Island si diffuse rapidamente ma, essendo fortemente legato (almeno nel nome) al suo luogo di nascita, iniziarono a nascere molte varianti, ognuna di esse denominata con il toponimo della località in cui era nata. Attualmente se ne contano almeno 12, tra cui quella italiana, che prevede, al posto di tequila e triple sec, l’amaretto.
Ricetta: 1/7 di vodka; 1/7 di rum bianco; 1/7 di tequila; 1/7 di triple sec (o Cointreau); 1/7 di gin; 2/7 di sweet&sour mix; cola per riempire; spicchio di limone.

 

Piña Colada, il Porto Rico in un bicchiere

Vedi la Piña Colada e pensi subito ai Caraibi. È istintivo, è normale, ma è soprattutto giusto. Questo cocktail cremoso e gustosissimo nasce infatti sulle spiagge del fantastico mare caraibico, anche se, come ogni grande invenzione che si rispetti, sono diverse le dispute attorno alla sua attribuzione. Partiamo dalle certezze: il 16 aprile del 1950 il New York Times cita per la prima volta questo cocktail, attribuendolo a Cuba. In realtà, la versione attuale della Piña Colada risalirebbe al 1954, quando il capo barman dell’hotel Caribe Hilton di San Juan, Porto Rico, Ramon “Monchito” Marrero Perez trovò il perfetto equilibrio tra rum chiaro, succo d’anans e latte di cocco. Il condizionale è però d’obbligo, perché Don Ramon Portas Mingot, barman de La Barrachina Bar, situato nella Vecchia San Juan, ne rivendica la paternità, datando la sua invenzione al 1963. A rafforzare la tesi di Don Ramon c’è una targa in marmo nella Vecchia San Juan che testimonia la nascita del cocktail Piña Colada. Chiunque sia il suo inventore, la certezza è che per il Porto Rico questo cocktail è l’orgoglio più grande, superando anche Jennifer Lopez dice qualcuno laggiù.
Ricetta: 5/10 di succo di ananas; 3/10 di rum bianco; 2/10 latte di cocco; ghiaccio; 1 fetta di ananas fresco.

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