Sulla violenza dei giorni nostri figlia di un'educazione malata

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Mi viene difficile soffermarmi su di un episodio in particolare. Nomi, cognomi, città, latitudini non contano affatto. Niente ha ormai importanza davvero nella guazza dell'indifferenziazione, in nome della tanto glorificata globalizzazione che niente ha risparmiato, divorando, anzi, simile a un terribile Moloch, la nostra stessa esistenza nelle sue minute pieghe e fin dentro la sua essenza più profonda. Importa realmente conoscere identità specifiche e disegnare contorni geografici certi per crimini che ormai si somigliano come cloni digitali?

Un tempo si voleva conoscere in faccia 'la belva', perché nell'identificarla si compiva una specie di esorcismo di massa: vederla equivaleva in qualche misura a smascherarla, darle un volto era sollievo per chi guardava il proprio figlio e poteva dire: «Quanto sono diversi». È così oggi? Possiamo davvero proseguire con una pantomima stile Chi l'ha visto, fatta per sedurre gli estremi epigoni di un passato vecchio e ormai moribondo? Io non lo credo affatto.

Tuttavia, proprio l'incolpevole programma televisivo che cito a caso è esempio perfetto di una televisione generalista rivolta a un pubblico non esattamente giovanissimo di corteggiatori del dramma e del dolore, e contiene, a ben vedere, tutti i segni dei nostri tempi. L'esposizione bulimica della violenza, la più brutale, la più ottusa, quella ottenebrata e gratuita, sintomo e sinonimo di una società allargata in quanto multi subculturalità, quella trasversale che va da Berlino a Torino, da Palermo a New York e viene declinata in tutte le sue monotone e tristi versioni, che fa sonnecchiare ma a quanto pare appaga con la stessa suadenza di un nepente.

Non rappresenta l'epica violenza dei guerrieri antichi, non è neppure retaggio di una specie di patto abietto col proprio territorio in nome dell'onore, come si diceva una volta, le sono perfino estranee le logiche dell'avidità. È il racconto di una violenza gratuita, idiota come chi la interpreta: serve solo a vedere di nascosto l'effetto che fa. In America sono decenni che la conoscono, da noi che viviamo nei riguardi degli States la sindrome della cameriera al cospetto della padrona, stiamo indossando questo habitus con il solito, congruo ritardo, ma alla fine abbiamo finito per farlo nostro. Come tutto, del resto.

Violenza gratuita, senza alcun motivo: onestamente, non so se sono più rivoltanti le bravate, se così si possono definire, di certi nostri rampolli o la reazione di padri assenti, miopi e convinti che la migliore tesi da sposare sia quella assolutoria verso questi pargoli  descritti invariabilmente come 'bravi ragazzi'. Siamo ormai alla follia generalizzata e conclamata: come si fa a trasecolare di fronte ai comportamenti di figli sempre più inconsapevoli del danno che procurano a se stessi e agli altri? Dunque, cari genitori: non leggete i giornali, non date un'occhiata alle notizie qua e là? Fatelo, e scoprirete che i problemi sono di una gravità inaudita. Droga, alcol e totale dipendenza dai supporti digitali. Trincerarsi dietro il facile e pericolosissimo «Il mio no, il mio è diverso» significa solo aggrapparsi a un’idea del mondo stile Mulino Bianco, in cui si annida l'insidia dell'autoinganno.

Troppi giovani non hanno più limiti perché nessuno si è preoccupato di farglieli notare, di far sentire loro il peso delle azioni e della responsabilità che ognuna di esse comporta. Per un tempo infinito si è fatto credere che padri e madri potessero essere amici dei figli. Mai sbaglio fu più colossale, perché molti problemi dei nostri giorni dipendono proprio dall'assenza e dalla mancanza di padri, presenze solide e capaci di dare esempi e, quando necessario, mostrare inflessibilità. Purtroppo, l'educazione di un figlio non può essere messo nelle mani delle volubili tendenze di moda, dei telefilm in cui genitori chiedono scusa ai figli (tempo al tempo per questo genere di cose...), delle facili propagande sociali. Purtroppo è quello che è stato fatto e continua ad essere fatto mentre tutto va in malora. Per essere buoni genitori non ci si deve preoccupare di essere moderni, perché le mode passano. I risultati, quelli, invece, restano.

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