Chi erano le tre suore uccise
Tre missionarie, Olga Raschietti (83 anni), Lucia Pulici (75 anni) e Benedetta Boggian (79 anni) sono state violentate e uccise in modo brutale domenica 7 settembre nel convento di Kamenge, in Burundi, in un quartiere settentrionale di Bujumbura. Il sospetto sarebbe un maniaco omicida. Papa Francesco ha dichiarato: «Il loro sangue versato diventi seme di speranza per costruire l’autentica fraternità tra i popoli», e ha assicurato che pregherà per «queste generose testimoni del Vangelo».
Quando si dice “La comunione dei Santi”. Tre sorelle missionarie saveriane che sembrano tre sorelle di carne. E più ancora lo sembrano i loro familiari, le cui parole si fatica a leggere ascoltando in orecchio il dialetto - veneto o lombardo che sia. Tre figlie - una anche levatrice - della stessa grande madre la Chiesa generatrice di musica, uomini e donne, sorrisi. E della forza - invincibile - della speranza nell’uomo salvato dal Signore.
Lucia Pulici
“Io gioisco pienamente nel Signore”, dice il ritornello del salmo della liturgia dell'8 settembre, natività di Maria. Sarebbe stato il compleanno di Lucia Pulici, il suo 75°, dopo che, il 2 luglio scorso, aveva festeggiato i 50 anni della sua professione religiosa e missionaria. [www.xaverianas.com]
Suor Lucia Pulici: «Una vera missionaria, una grande educatrice, una donna di pace». L’ha ricordata così don Renato Bacchetta fino a ieri parroco di San Giorgio, il popoloso rione di Desio dove suor Lucia era nata. «La sua - ha raccontato - era una delle famiglie originarie di un quartiere che ancora negli anni Quaranta era formato da due cortili. Una famiglia contadina di quelle di una volta, con tanti figli, dove la fede era un valore assoluto». Quarta di otto fratelli - 6 femmine, tre delle quali vivono ancora a Desio, e 2 maschi - era partita per il centro missionario saveriano di Parma a 21 anni. «Lo aveva detto solo a nostra madre. Da allora non è più rientrata e poi è volata in Burundi. Conoscevo tutte le donne uccise, tutte persone straordinarie», ha raccontato la sorella Anna, 84 anni.
Suor Lucia rientrava in Brianza ogni due anni per curare i suoi problemi di cuore: «Appena la salute glielo permetteva, tornava subito in missione. Il suo volto si illuminava, appena parlava delle ragazze di cui si occupava e che amava come delle figlie. Il suo desiderio era di servire fino in fondo l’Africa. E così è stato». Ma l’Africa non era stata la sua prima destinazione. Per anni aveva fatto la levatrice in America Latina. Il tempo necessario perché le preghiere di servire il Signore nel continente nero potessero essere esaudite.
Si trovò in Burundi - ha spiegato padre Carmelo Boesso, superiore della comunità dei missionari Saveriani di Desio - «inviata ad aiutare padre Claudio Marano a fondare il Centre Jeunes Kamenge, una struttura dove vengono accolte giovani delle etnie tribali Hutu e Tutsi (in guerra tra loro). Qui possono imparare fin da piccole a vivere insieme e in armonia. Un progetto non facile in un paese dove le lotte tribali hanno provocato 350mila morti. La migliore scuola di pace possibile».
«Suor Lucia era un aiuto preziosissimo - ha confermato da Bujumbura Padre Marano, un friulano -. Per tanti anni si è occupata come una vera mamma della crescita di tante generazioni di ragazze africane. A ciascuna di loro ha insegnato il rispetto per loro stesse, per la propria vita e per quella degli altri, e per il valore della pace».
Benedetta Boggian
Suor Bernardetta Boggian, 79 anni, proveniva da Ospedaletto Euganeo. Il cugino la ricorda come «Una persona dinamica, sempre disponibile ad aiutare i più deboli». «La sua vita era la missione - aggiunge - e ha pagato il prezzo altissimo della sua vocazione». Tranne alcuni anni passati in Italia, suor Bernardetta dal 1970 aveva sempre vissuto in Africa Centrale: Repubblica Democratica del Congo e infine Burundi.
Un anno fa - fine agosto - alla vigilia della sua ripartenza, aveva scritto: «La Provvidenza mi ha fatto dono di incontrarmi con diversi popoli e culture, di vedere panorami stupendi. Ho conosciuto persone meravigliose; cristiani e credenti di altre religioni: volti che sfilano davanti a me come una sequenza, facendomi rivivere lo stupore di avere incontrato i semi del Vangelo già presenti. L’Africa che ho incontrato ha rafforzato in me la fiducia in Dio; mi ha colpita l’accoglienza cordiale, la gioia di condividere con l’ospite il poco che c’è, la gioia dell’incontro, senza calcoli di tempo. Da qualche anno mi trovo in Burundi a Kamenge, una zona periferica molto popolata della città di Bujumbura. Sono contenta di appartenere a questa comunità cristiana che è attenta e si fa vicina ai poveri. E bello vedere al sabato e alla domenica le mamme delle comunità di base che si avviano con i loro cesti sulla testa verso la prigione per visitare i prigionieri e portare loro un po’ di cibo.
La Messa di domenica sera è frequentata particolarmente da papà e giovani, che hanno avuto l’opportunità di una giornata di lavoro, a volte mal pagato. Arrivano con i volti cotti dal sole e le mani callose e corrose dal cemento. Osservo i loro volti che emanano la serenità di chi sa che Gesù è in mezzo a loro e cammina accanto a loro. L’annuncio di Gesù e dell’amore misericordioso del Padre diventa comprensibile se accompagnato dalla testimonianza di vita. Occorre nutrire in noi uno sguardo di simpatia, rispetto, apprezzamento dei valori delle culture, delle tradizioni dei popoli che incontriamo. Questo atteggiamento, oltre che dare serenità al missionario, aiuta a trovare più facilmente il linguaggio e i gesti opportuni per comunicare il Vangelo.
La prima sfida che ci interpella mi sembra sia la difesa di popoli umiliati, calpestati nei loro diritti, la denuncia dello sfruttamento dei beni di questi Paesi. È pure pressante il problema dell’alfabetizzazione, via maestra per la lotta contro la povertà. L’Africa ha bisogno di giustizia, di maggior equità e di buongoverno.
Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia». [Fonte: Avvenire e www.saveriane.it]
Olga Raschietti
Suor Olga Raschietti, 83 anni, era la più anziana delle tre missionarie saveriane uccise domenica pomeriggio nel loro convento di Kamenge - un quartiere della capitale del Burundi, Bujumbura - precisamente presso la parrocchia Guido Maria Conforti. Il convento sostiene un Centro per i giovani fondato dai Padri saveriani, che promuove la convivenza tra etnie diverse. Non era solo la più anziana, era anche quella con la più lunga permanenza in Africa, risalente a metà anni Sessanta.
«La mia vocazione è lì» ripeteva ai familiari che forse qualche volta avrebbero voluto trattenerla. La vocazione non invecchia. Era partita missionaria da Montecchio Maggiore (Vicenza), dove abitano ancora cinque fratelli. Quanti erano in tutto? Dodici. Lo scorso anno ne erano morti tre. Adesso è stato il suo turno.
«È morta - dice il fratello Arduino, 88 anni - per la sua vocazione e se sul piano umano sono dispiaciuto, come cristiano sono orgoglioso. È già nei cieli, ne sono certo e lo dico rispettando il credo di ognuno». «Era la zia d’Africa - ricorda una nipote - e da bambini ci portava sempre un ricordo quando tornava a casa. Siamo tantissimi nipoti, ma si ricordava di tutti e per tutti c’era un regalino. Nei primi tempi tornava ogni tre anni, mi pare, adesso un po’ più spesso». L’ultima volta era stata qualche mese fa, per un breve periodo in cui si era sottoposta a cure a un ginocchio. «Non voleva restare in Italia - ribadisce Arduino - e appena ha potuto è ripartita». L’anziano fratello rammenta poi la passione di suor Olga per la musica: «Io sono organista e anche lei aveva studiato musica. Mi chiedeva sempre di mandarle degli spartiti di musica sacra». La nipote: «Era una persona solare con una disponibilità al mille per cento verso gli altri. Era la sua forza». Anche se il suo posto era là, non aveva allentato i contatti coi familiari: «Scriveva molto - riprende la nipote - e poi telefonava. Non dimenticava un compleanno o un onomastico».