"Mullah Radio" è il suo soprannome

Chi è il talebano Fazlullah che ordina di uccidere i bambini

Chi è il talebano Fazlullah che ordina di uccidere i bambini
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La storia di Maulana Fazlullah, il leader dei talebani pakistani che ha rivendicato l’attentato di martedì alla scuola di Peshawar, è la dimostrazione di quanto variegato sia il panorama del terrorismo islamico. E ancor di più dimostra quanto la tenacia di questi gruppi armati vada di pari passo con la necessità di una ricalibrazione da parte degli Usa della propria politica estera, che ha ucciso sì i due predecessori di Mullah Radio (vittime di attacchi droni), ma non è ancora riuscita a venire a capo alle tensioni che da anni persistono nella zona.

E dice già molto di lui quel soprannome, Mullah Radio, che rende onore alle frequenze FM con cui, a partire dal 2007, impartisce i suoi sermoni al distretto pakistano dello Swat, incitando alla guerra agli Usa e all’educazione. In dieci anni si era passati dai video sporadici di Bin Laden al terrorismo 2.0 dell’Isis, fatto di Facebook, Twitter e blog on-line. Ma le alture del Pakistan offrono disponibilità diverse, e qui la propaganda islamica sembra essere tornata indietro di decenni, ad uno strumento, la radio, che però riesce ad avere la stessa drammatica efficacia di ciò che si usa in altri angoli del mondo.

Quanto alla cronaca, l’ascesa di Fazlullah è cominciata appunto nel 2004, quando iniziò a trasmettere i propri discorsi attraverso una radio illegale: i destinatari erano sempre gli Stati Uniti e l’occidente, la politica del Pakistan verso i talebani e le donne, l’educazione e le scuole. «La sua ambizione eccede il semplice voler creare un emirato islamico nello Swat», scrisse anni fa Nicholas Schmidle, giornalista del New York Times Magazine, tra i pochi ad incontrarlo, anni e anni fa, ricevuto proprio tra le gole del nord-ovest del Paese. «È totalmente fuori controllo», dicevano al reporter americano alcuni locali, presagendo i livelli infernali cui sarebbe arrivata la sua guerra, toccati appunto con la strage di martedì.

E poi c’è Malala Yousaszfai, la ragazzina pakistana che aveva un blog sul sito del Guardian e scriveva in difesa della libertà di educazione, raccontando quanto dura fosse vivere sotto i talebani. Prima di vincere il Nobel per la pace, Malala fu vittima di un attentato atroce: nel 2012 un fondamentalista islamico salì sul pulmino che la stava portando a scuola e le sparò alla testa. Rimase ferita, ma non morì. E a rivendicare l’attentato fu proprio Fazlullah, che propose a tutto il mondo l’atroce cattiveria dei talebani cui, pian piano, stava andando a capo.

Prima della nascita della sua radio si sa poco di Fazlullah, nato nel 1975 da famiglia di pastori col nome di Fazle Hayat. Da ragazzo conduceva una vita umile, a cambiarlo fu proprio il matrimonio con una donna: prese in moglie la figlia di un importante ribelle talebano, che seguì la sua crescita ideale e autoritaria. Poi arrivò la guerra in Afghanistan, la fuga di tanti fondamentalisti da Kabul e Kandahar, la nascita di nuove cellule talebane al di là del confine pakistano, con mire di terrore su Islamabad. Fazlullah seguì questi passi diventandone il predicatore. E quando fu ucciso Hakimullah Mehsud, ne prese il posto, dando una piega ancor più aspra alla guerra dei talebani.

Il supporto della gente si è costruito via etere, rimbalzando da una frequenza all’altra. È una mina vagante, Fazlullah, impossibile da controllare nelle sue azioni: non ha il carisma di Al Baghdadi, né la cattiveria di Boko Haram, ma sa essere furbo e imprevedibile. Raccolse migliaia di dollari per far costruire una madrassa, le scuole coraniche più fedeli al Corano, spese diverse parole contro le vaccinazioni da poliomelite, considerate «una cospirazione di ebrei e cristiani per arrestare la crescita della popolazione musulmana». Ma le sue parole più piccate sono sempre state verso le donne, l’educazione e le scuole. E la strage di martedì è stata un salto di livello preoccupante, che lascia intendere quanto instabile resti ancora la zona, nonostante anni di guerra coi droni.

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