Colpevole di «concorso morale»

Ultrà juventino pentito: «Il calcio mi ha rubato otto mesi di vita»

Ultrà juventino pentito: «Il calcio mi ha rubato otto mesi di vita»
Pubblicato:
Aggiornato:

«Ci sono voluti due anni ma alla fine la verità è venuta a galla». È pentito, sì. Ma anche molto stanco Giorgio Saurgnani, il 30enne bergamasco (di Romano) finito a processo per la vicenda della bomba carta lanciata durante il derby della mole del 26 aprile 2015. Com’è noto, il pm aveva  chiesto sette anni di reclusione. Il giudice invece, alla fine, l’ha condannato a 2 anni e otto mesi. In questi giorni sono arrivate le motivazioni: Saurgnani è responsabile per il solo «concorso morale» nella vicenda. Non si può stabilire «oltre a ogni ragionevole dubbio» che la mano che ha lanciato quel petardo fosse la sua. Ora il 30enne broker romanese si è sfogato, in un’intervista al Giornale di Treviglio.  Saurgnani infatti è stato per due anni il primo indiziato per i fatti avvenuti all'interno dello stadio comunale durante il derby Torino-Juventus del 26 aprile 2015. Durante la partita, nella curva dei tifosi del Torino scoppiò una bomba carta, lanciata presumibilmente dal settore occupato dagli juventini. In particolare i sospetti ricaddero su Saurgnani dopo che gli inquirenti passarono al vaglio le immagini delle videocamere di sicurezza. Sei in totale gli occhi elettronici che ripresero i tifosi juventini, tra i quali c'era anche il romanese. Fu identificato come il responsabile del lancio. Una tesi che però è stata smontata per mancanza di prove durante il dibattimento.

 

 

«È emerso un fatto molto strano al processo – ha detto Saurgnani – che per  tutte e sei le telecamere mancano tre minuti di ripresa durante il derby: il minuto dell'esplosione, quello antecedente e quello successivo all'esplosione. Il lancio, è stato ipotizzato, partì dai tre anelli dello stadio, quindi era  impossibile identificare una sola persona». Giorgio Saurgnani non è stato quindi riconosciuto colpevole né per il lancio né per la  detenzione di quello che inizialmente è stato considerato un ordigno (e che poi la sentenza ha derubricato a «petardo»). Non tutto è finito però per il giovane romanese. Il tribunale infatti l'ha ritenuto colpevole di «concorso morale con ignoti» nella vicenda. L'accusa si basa sugli sms privati che Saurgnani ha scambiato con alcuni amici, in un gruppo Whatsapp. Vi annunciava secondo il pm azioni violente nei confronti di altre tifoserie. «Quelli erano messaggi che inconsciamente ho mandato a degli amici, ma non c'era alla base alcun piano o trama – ha spiegato ancora il 30enne romanese – e l'accusa di  concorso morale “con ignoti” è di per sé contraddittoria: un concorso implica dei complici che devono essere noti, e non è questo il caso. Per questa condanna ricorreremo in appello».

Degli ultimi due anni, per otto mesi Saurgnani è stato in carcere. Dalle «Vallette» di Torino è passato a quello di via Gleno per finire, dopo  un periodo ai domiciliari, al penitenziario di Ivrea. Già prima del processo, appena indiziato, da gran parte dell'opinione pubblica era stato identificato come colpevole e responsabile del lancio della bomba carta. A rafforzare quest'immagine di nemico pubblico, soprattutto, erano stati gli sms pubblicati e le foto mostrate anche durante il dibattimento. Qualcuno però ha avuto fiducia in lui. La sua famiglia, ma anche parte della comunità di Romano. «Prima ancora che mi potessi difendere sono stato additato come colpevole – ha detto – è vero, ho fatto degli sbagli e per quello ho pagato con otto mesi di reclusione. Ringrazio davvero i pochi che oltre alla mia famiglia hanno creduto in me e ci sono stati vicini». Ma qualcosa si è rotto. Non solo in lui, ma anche nel rapporto con la sua musa: la Juve. Ultrà convinto e instancabile, a ogni partita dei bianconeri lui c’era. «Il calcio è stata una grande passione che alla fine non mi ha restituito niente – ha confidato –. Mi ha rubato mesi di vita e ora non riesco più a viverlo come prima».

Seguici sui nostri canali