Un po’ di silenzio, per favore

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C’era un tempo in cui la notizia e le prime immagini di un terremoto creavano sgomento e toglievano ogni voglia di parlare. Col passare degli anni e delle scosse si istituì una specie di procedura nel racconto: il primo giorno la conta dei morti e dei danni, il secondo l’eroismo dei soccorritori, il terzo il miracolo di quelli trovati ancora vivi tra le mura crollate e il quarto le polemiche. Un copione improntato al rispetto di una gerarchia. Adesso che il tempo non c’è più, ed è la velocità a imporre i suoi ritmi, è come se tutto fosse finito in un frullatore e il rumore di fondo è talmente forte da anestetizzarci, con il rischio di coprire (e nascondere) i fatti.

E così, mentre ancora si aggiorna il numero delle vittime e si racconta il dramma di chi ha perso la vita, sono già partite le discussioni: «L’Aquila non ha insegnato niente», «In un Paese normale non sarebbe stato un disastro», «È mancata la prevenzione», non si è ascoltato l’allarme dei geologi («In Italia 24 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio sismico»), e poi la denuncia dei Vigili del Fuoco arrivati in alcune zone dopo tre ore, mentre i bergamaschi sono partiti subito.

Un momento per favore, concedeteci un attimo di tregua. È appena passata la morte vigliacca. Andiamo per ordine di importanza e ricominciamo da capo: bisogna fare un po’ di silenzio per sentire i lamenti, i singhiozzi di chi ha perso tutto e le sirene delle ambulanze. C’è un tempo per ogni cosa, dice Qoelet. Lasciamo che chi deve rimuovere le macerie e recuperare i corpi e salvare, forse, ancora qualche vita, lo possa fare senza che intorno si scatenino chiacchiere a non finire.

P.S. Ieri Papa Francesco ha deciso di rinviare la catechesi dell'udienza generale e di dedicare l'incontro con i fedeli in piazza San Pietro alla recita di una parte del Rosario, i misteri dolorosi, per le vittime. «Avevo preparato la catechesi di oggi – ha detto Francesco -, ma dinanzi alla notizia del terremoto che ha colpito il centro d’Italia, non posso non esprimere il mio grande dolore e la mia vicinanza a tutte le persone presenti nei luoghi colpiti dalle scosse, a tutte le persone che hanno perso i loro cari e a quelle che ancora si sentono scosse dalla paura e dal terrore. Sentire il sindaco di Amatrice dire: “Il paese non c’è più” e sapere che tra i morti ci sono anche i bambini mi commuove davvero tanto».