Urlavo e strepitavo: vai Vincenzo! Quei secondi in cui Nibali ero io
Quella manciata di secondi che separavano Vincenzo Nibali dal suo secondo Giro d'Italia li ho trascorsi in piedi, torturandomi le labbra, i capelli, le mani e la faccia, cercando un appiglio fuori di me. Dentro, invece, urlavo e strepitavo vai Vincenzo, non ti fermare, vai, continua a pedalare verso la gloria, o verso il traguardo. Un urlo silenzioso, privato e personale. L'urlo dell'anima. Probabilmente quello che abbiamo gridato tutti. Ma c'è qualcosa di più che lega le nostre vite al trionfo di Nibali e della sua bella maglia rosa, ed è quella straordinaria robustezza dell'attimo, un tempo brevissimo, allo stesso tempo fragile e indistruttibile, in cui il destino del campione fa il suo corso e si rivela al mondo.
È l'attesa, secondi in cui le lancette scorrono lente, il tempo si amplifica e si dilata, e i nostri pensieri galleggiano come un tappo di sughero nel mare. In balia delle correnti. Secondi, sarà capitato a tutti, in cui abbiamo aspettato una notizia che poteva essere bellissima o terribile - il medico che ci svela il sesso del primo figlio; a scuola il voto degli esami di maturità; l'apertura di una lettera che doveva arrivare da molto tempo -, secondi che hanno segnato per sempre il corso delle nostre vite. Gli stessi secondi in cui Nibali non si preoccupava se non di pedalare e pedalare ancora, di fare fatica per superare Chaves in classifica generale, mentre noi stavamo lì a guardarlo, a incitarlo, aspettando l'esito di quello sforzo inaudito. Partecipando, sì, ma senza fare nulla. Solo rumore privato e lontanissimo.
Italian rider Vincenzo Nibali of Astana Pro team, celebrates on the podium wearing the overall leader's pink jersey after the 20th stage of the Giro d'Italia cycling race over 134 km from Guillestre, France to Sant'Anna di Vinadio, Italy, 28 May 2016. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Italian rider of Astana Team Vincenzo Nibali celebrates on the podium after winning the Giro d'Italia 2016, Turin, 29 May 2016. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Vincenzo Nibali vince il Giro d'Italia 2016, Torino, 29 maggio 2016. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Per chi ama il ciclismo, ma anche per chi ama semplicemente un'impresa sportiva come quella che ha fatto il corridore messinese, quei momenti resteranno scolpiti nella memoria fotografica per tutta la vita, ricorderemo insieme a chi stavamo, che vestiti indossavamo, persino le sensazioni esplose dentro di noi. È una di quelle emozioni che poche volte riusciamo a provare così distintamente. Perché entra in gioco tutto. Il riscatto, l'orgoglio nazionale, la bellezza del successo (o la tragicità dell'insuccesso), l'eroe ferito e ritrovato.
Ricordiamo quando l'Italia ha vinto i Mondiali o quando Senna morì per colpa di un incidente. Fotografie animate di noi stessi, gif (per dirla in maniera tecnologica) dentro al nostro cervello. Ha scritto Fabio Cola, formatore e consulente dello sport, in un libro: «C’è un sottile filo rosso che lega la vittoria, il vincitore e gli occhi dello spettatore. Riconoscere quel filo, dal nostro punto di vista, significa potersi permettere di ritornare a essere parte di quel successo, non più isolata bandiera, troppo unica e straordinaria per aver voglia di sentirla vicina».
Vincenzo Nibali of Astana team greets the public at the start of the 18th stage of the Giro d'Italia cycling race over 240km from Muggio' (Mi) to Pinerolo (To) Italy, 26 May 2016. ANSA / MATTEO BAZZI
Vincenzo Nibali (C) vince il Giro d'Italia 2016, secondo classificato Esteban Chaves (S) e terzo Alejandro Valverde (d) Torino, 29 maggio 2016. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
E così è successo con Nibali al termine di una tappa leggendaria. Al termine di un Giro incredibile, che prima lo ha visto crollare e poi resuscitare. Ogni tappa (ora possiamo dirlo) è stata l'indizio per arrivare al finale. Ma sono quei pochi secondi, mentre aspettavamo la certezza del successo, che segnano la differenza tra l'impresa e l'immortalità.