Passione e competenza

La bergamasca che detta la linea ai grandi campioni di Wimbledon

La bergamasca che detta la linea ai grandi campioni di Wimbledon
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«Era mio fratello l’appassionato di tennis. Lui guardava in tv le partite di Borg e io pensavo che fosse uno sport terribilmente noioso. Poi è arrivato Lendl, e il tennis è diventato il mio sport preferito. Ero una bambina. Da lì mi sono interessata in maniera quasi maniacale al mondo delle racchette. Giocatori, campi, regole. Tutto. Persino gli arbitri. Avevo notato che anche loro seguivano il circuito, proprio come i tennisti. Finché un giorno, al torneo di Milano, ne incontro uno. Come faccio a diventarlo anch’io? Qualche tempo dopo ero in federazione a seguire il primo corso e qualche mese più tardi ero già sul seggiolone per il primo incontro, un match fra ragazze che giocavano quasi al mio livello. Un mezzo disastro, credo si vedesse chiaramente quanto tremavo. Ma sono andata avanti, e questo è stato il primo vero traguardo raggiunto».

 

 

Anche gli arbitri hanno un cuore. E quando ascolti Francesca ti accorgi che è davvero grande così. Gentile, affabile e disponibile, Francesca Di Massimo fa parte della flotta degli oltre trecento arbitri che aiutano a rendere Wimbledon uno spettacolo. Bergamasca, Francesca ha arbitrato tutti i principali tornei dello Slam e alle Olimpiadi. «Sono stata estremamente fortunata, ho fatto ben più di quello che osavo sperare. Sono contenta dei tornei che faccio». Anche gli arbitri hanno un cuore. Sì, ma poi sul campo bisogna essere più freddi di un cyborg. Sbagliare è umano. Arbitrare mmm, insomma. Però lei ci ride su, perché ormai ne ha viste talmente tante... «Una volta chiamo fuori una palla a un giocatore brasiliano. Lui, arrabbiatissimo, continuava a dire che aveva preso la riga. Solo che non diceva riga, diceva quella parola con la effe. E il pubblico rideva e rideva, e anche io non riuscivo a resistere. Solo che lui non capiva. Anche io gioco a tennis e mi piace da morire. Sono una di quelle che non si arrabbiano mai, forse perché vedo già i professionisti che se la prendono così tanto, invece a me piace giocare sempre col sorriso».

 

130th , The Championships / Wimbledon
Italian team . . .

Pubblicato da Sascha Athos Proietti su Mercoledì 29 giugno 2016

 

Anche gli arbitri hanno un cuore. E anche meglio se al cuore, certe volte, non si comanda. La sua dolce metà, Francesca l’ha incontrata sui campi di gioco. Si chiama Carlos Bernardes, è uno degli arbitri più importanti del circuito internazionale, «e mai avrei pensato che ci potesse essere più di un’amicizia». Ma la vita è più imprevedibile di una palla sul nastro: non sai mai da che parte finirà. Vivono a Gorle. Carlos ha imparato che cos’è la polenta (bontà suprema) e la bellezza di Città Alta, mentre lei sta studiando portoghese. «Carlos è stato mio collega e amico per tanti anni: io italiana e lui brasiliano; lui arbitro affermatissimo, io una giudice tra tanti. Abbiamo iniziato a conoscerci da diverse prospettive, abbiamo scoperto tante passioni comuni e ci siamo trovati in una nuova veste. Parliamo di tennis come di calcio, amiamo lo sport in generale, ma quello che mi piace è che ancora mi racconta le situazioni particolari che gli succedono in campo. Addirittura si confronta perché lui è uno istintivo, molto naturale sulla sedia. Io invece sono la regina dei manuali».

 

Bergamo

Pubblicato da Danilo Terzi su Mercoledì 1 luglio 2015

 

Anche gli arbitri hanno un cuore. E un cervello, naturalmente. Quando non viaggia per il mondo per arbitrare i tornei («quindici, venti settimane l’anno»), Francesca fa la libraia. «Lavoro in una libreria a Sesto San Giovanni praticamente dai tempi in cui ho iniziato ad arbitrare. Sono fortunata: ho conciliato la passione per i libri con quella per un secondo lavoro che mi porta lontano per tante settimane all'anno. I miei colleghi del tennis mi chiedono sempre quanti libri ho portato con me in ogni torneo. Ma lavorare in libreria significa soprattutto scoprire le novità editoriali poco pubblicizzate. Open di Agassi no, non l’ho letto. Cerco letture un po' meno conosciute per potere dare ai miei clienti dei consigli più particolari. Nel ’93, per esempio, è uscito un romanzo di un autore friulano, Paolo Maurensig. La variante di Lüneburg, una sorta di giallo ambientato nel mondo degli scacchi. Non leggo molto i gialli e non conosco quasi nulla degli scacchi, ma l'intreccio e soprattutto lo stile di questo autore mi hanno travolto, tanto che nella libreria dove lavoro abbiamo organizzato un incontro con l'autore. Ho capito che l'abilità di un narratore sta nel coinvolgere il lettore a prescindere dal genere e dall'argomento. Io quell'autore l'avrei ascoltato parlare di qualunque cosa».

 

 

Anche gli arbitri hanno un cuore. Sì, e memoria, aneddotica, fantasia. Quella volta che... «Mi trovavo a Sydney in compagnia di un amico che in quel periodo era l'allenatore del giocatore svizzero Bastl. Eravamo in un bar quando mi ha detto che sarebbe passato il suo atleta accompagnato da un amico. L'amico in questione con mia grande sorpresa aveva un volto conosciuto. "I'm Roger, nice to meet you”: Era Roger Federer». O quella volta che... «Il Roland Garros è il torneo più rigido. Ogni volta che vai in campo c’è un consulente tecnico che valuta non solo le tue prestazioni, la tua posizione, ma anche la tua immagine. Addirittura una volta mi hanno controllato i calzini. Si stava giocando la finale a Parigi e io ero seduta a giudicare la linea di fondo, alle mie spalle ho sentito un trambusto, mi sono girata e ho visto un uomo a petto nudo con delle scritte sulla pelle che urlava con un bengala acceso in mano. Ovviamente sarei voluta scappare come ha fatto Nadal, ma ero così condizionata dalle costanti istruzioni dei nostri responsabili che non osavo muovermi. A rivedere le immagini sorrido perché vedo il mio tentativo di allontanarmi dall'individuo ma allo stesso tempo di non mollare la mia posizione in sedia. Succedesse adesso credo che la reazione generale sarebbe il panico».

Anche gli arbitri hanno un cuore, e un pizzico di filosofico sapere. «Se potessi tornare indietro di sicuro affronterei diversamente le situazioni difficili che ho incontrato. L’esperienza è l’alleato numero uno sulla sedia dell'arbitro. Rimpiango le volte in cui per disabitudine non ho saputo gestire al meglio le personalità dei giocatori che diventano tanto più esuberanti quanto più ti vedono intimidita». Passione, competenza, manuale, esperienza: anche fra gli arbitri ci sono i fuoriclasse.

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