Almè ricorda Gaetano Giordano e il suo «no» al pizzo alla Mafia

Il Presidio bergamasco di Libera, la rete nazionale di associazioni contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti, ha organizzato alcune iniziative per commemorare Gaetano Giordano e Rita Atria. Quest'ultima, testimone di giustizia, si suicidò il 26 luglio 1992, mentre Gaetano fu ucciso il 10 novembre dello stesso anno a Gela perché si era rifiutato di pagare il pizzo. Nel giorno del 23esimo anniversario della sua morte, è stata celebrata una messa in suo ricordo presso la chiesa parrocchiale di Villa d'Almè. Paese non casuale, dato che la terra bergamasca è intrecciata doppio filo a questa tragica vicenda: proprio ad Almè, dove viveva e vive il fratello Michele, è stato sepolto Gaetano. La scelta di consegnare l'uomo al riposo eterno in una terra lontana dalla sua Gela fu dei familiari, che volevano sottrarlo a quella terra siciliana che ne aveva decretato la triste fine.
I ricordi del fratello Michele. Dopo la funzione religiosa, Michele Giordano ha ricordato gli eventi che hanno coinvolto la sua famiglia, parlando con Bergamo Post: «Gaetano era un commerciante di alta profumeria a Gela, aveva cominciato da niente, in origine era un barbiere poi pian piano si è inserito nel commercio vero e proprio, anche grazie ad una certa diffusione di benessere economico a Gela con l'espansione del petrolchimico nel dopoguerra. La sua crescita è stata molto forte e i signori della malavita si sono accorti di lui; si sono quindi presentati a chiedere dei soldi, 5 milioni di lire al mese, che equivalgono oggi a circa 2500 euro». Gaetano non accettò quella richiesta, andando contro una prassi diffusa nel paese: tutti pagavano il pizzo per lavorare tranquilli, per poi aumentare i prezzi dei prodotti.
L'assassinio. «La malavita si appoggia alla paura, sopratutto perché spesso vengono coinvolti familiari e figli: bisogna avere molta dignità per non abbassare la testa», ha continuato a spiegare Michele. «Non dico coraggio perché Gaetano era un pauroso, non era un eroe, però aveva la dignità. Si è chiesto: “Come farò a guardare in faccia i miei figli se io per primo ho avuto paura di una minaccia inaccettabile?” e quindi ha detto di no, ed è andato a denunciare il fatto». Un passo che valeva come condannarsi, dato che l'intero sistema mafioso si basava sull'omertà. «In seguito ha coinvolto altri 4 o 5 commercianti per tentare di rialzare la testa. Iniziavano a muoversi le acque. La mafia quindi ha deciso che bisognava dare una lezione ad uno di questi per “educare” anche tutti gli altri. Non sapevano chi punire e non avendo considerazione alcuna per la vita hanno deciso di estrarre a sorte. È venuto fuori il nome di Gaetano; una sera tornando a casa dal lavoro col figlio è stato raggiunto sotto casa da un minorenne in motorino che lo ha colpito con cinque proiettili, ferendo anche suo figlio che per fortuna si è poi salvato».
Portare Gaetano via da Gela. Ha aggiunto poi Michele: «Mia cognata voleva portare via il feretro del marito da Gela, non voleva più sentir parlare di quel posto. Gaetano aveva 55 anni quando è morto e di lì a poco si sarebbe trasferito a Roma, per raggiungere i figli che lì studiavano. Non era tuttavia possibile portarlo a Roma perché non aveva la residenza. Al funerale allora ho proposto di portarlo qui a Bergamo, dove vivo dal 1967». La commemorazione di quell'omicidio si ripete dal 2010: «Da un'iniziativa di Crocetta che allora era euro-parlamentare, ho parlato con esponenti di Libera e ho raccontato la storia della mia famiglia. Mi hanno quindi coinvolto e da allora ogni anno si commemora Gaetano nel giorno della sua morte, il 10 novembre».
L'importanza della memoria. Non si è mai fermato però l'impegno di Michele e di sua cognata, rimasta a Gela, nel far conoscere la vicenda di Gaetano: «Lei gira la Sicilia portando nelle scuole il suo racconto, come faccio anch'io qui. Libera ha fatto capire anche a me quanto sia importante la memoria. Senza di essa non c'è futuro: mio fratello deve essere un esempio di come ci si dovrebbe comportare di fronte alla mafia. Una ventina di giorni fa hanno arrestato delle persone a Bagheria per il pizzo: fa sempre più rumore un albero che cade di un'intera foresta che cresce, ma c'è anche del bene. Ci sono persone che cercano di combattere la malavita. Il direttore di Telejato (piccola emittente tv guidata da Pino Maniaci, ndr) è stato messo sotto scorta proprio perché inveisce contro la mafia; un po' come faceva Peppino Impastato. La gente invece inveisce contro la polizia perché la mafia dà loro da mangiare, ma non si rendono conto che ci sarebbe ricchezza per permettere a tutti di vivere». Michele ha poi suggerito un libro ai ragazzini che rischiano di farsi trascinare nella spirale della mafia: Ali bruciate di Davide Cerullo. «Era un malavitoso di Scampia, si è poi pentito e adesso porta qui nella bergamasca i ragazzi di Scampia. Là vedono i morti per strada, lui vuole portarli fuori da quella prospettiva e gira la bergamasca facendosi ospitare dalle parrocchie, per mostrare loro che può esistere una realtà diversa».




Le altre iniziative di Libera. La giornata di commemorazione è proseguita in serata al cinema di Almè, con il discorso del presidente provinciale di Libera e la proiezione del film La nostra terra. Venerdì 13 novembre a Presezzo ci sarà la conferenza Donne e mafia, con Piera Aiello (cognata di Rita Atria) e Ombretta Ingrascì (docente Università di Milano). Sabato 14 alla Pinacoteca Vanni Rossi di Ponte San Pietro ci sarà la premiazione per il concorso fotografico e di disegni Il mio paese ingiusto. La mostra è aperta dal 10 al 14 del mese negli orari della biblioteca.