Il personaggio

Guizzetti, il bergamasco in corsa per la guida del Pd: «Anche Obama partiva sconfitto...»

Dopo una vita a Washington, alla Banca Mondiale, è rientrato in Italia. «Parto come sconfitto, ne sono consapevole. Ma anche Obama lo era»

Guizzetti, il bergamasco in corsa per la guida del Pd: «Anche Obama partiva sconfitto...»
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di Wainer Preda

Confesso. Ero molto curioso di conoscere Antonio Guizzetti. Sì, perché non è proprio una cosa comune decidere di candidarsi alla segreteria nazionale del Partito Democratico. E lui l’ha fatto. È il quarto candidato dopo Stefano Bonaccini, Elly Schlein e Paola De Micheli. Ci vuole un gran coraggio. E a quanto pare quest’uomo - che viene da una famiglia bergamasca e per trent’anni ha lavorato a Washington, alla Banca Mondiale, sui temi dello sviluppo -, ce l’ha.

Guizzetti, com’è arrivato alla decisione di candidarsi?

«In questi anni da Washington ho sempre osservato l’Italia. Non ho mai voluto la cittadinanza americana, mi sento orgogliosamente italiano. E da italiano guardavo con tristezza a un Paese che si è fermato, che non è cresciuto molto, che ha un tasso di crescita demografica molto basso, un indice di povertà molto elevato, disoccupazione giovanile. Rientrando in Italia ho pensato che avrei potuto portare il mio contributo professionale, politico e culturale. E poi c’è un altro motivo».

Dica.

«La sconfitta alle elezioni ha consegnato il Paese a una destra che si ispira a principi ideologici che non condivido. Dunque ho deciso di fare questo salto».

Sì, ma direttamente al vertice di uno dei partiti più importanti d’Italia...

«Penso di avere la qualità intellettuale, l’esperienza professionale, la capacità e le idee per poterlo fare. Vorrei dare un contributo per riformare la sinistra italiana e ammodernare la nostra società».

Per fare il segretario servono anche le relazioni.

«Nel mio blog mi definisco “underdog”, quello che ai tavoli di Las Vegas danno per sconfitto. Però le dico: durante la campagna elettorale del presidente Obama ero fra il gruppo di italiani che lo sostenevano. Per la sua campagna elettorale, da senatore allora semi-sconosciuto, lui prese un giornalista di Cnn, il direttore della più importante società di pubbliche relazioni di Washington e uno dei tre fondatori di Facebook, li mise insieme e facendo solo una campagna sul web e sulle reti sociali, vinse».

Si ispira a quel modello?

«Il modello di riferimento è quello. Io non posso permettermi di fare come gli altri candidati (...)

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