Quando fare una causa per malasanità
Il medico è una figura professionale di rilevante importanza che svolge un lavoro delicato e complesso. Dovrebbe impegnarsi con le unghie e con i denti per fare bene il suo lavoro e dare al paziente la giusta soluzione ai problemi. Tuttavia si presentano, e purtroppo spesso, casi in cui interventi e cure al malato non vengono realizzati nel modo corretto. In quel caso sorge spontaneo citare il medico, chiedergli un risarcimento per i danni subiti. Casi di malasanità in Italia sono così tanti che si perde il conto, ma a volte le persone rinunciano ad avere un loro equo compenso in quanto convinti che il medico sia 100% protetto dalla legge e giustizia non si possa ottenere. Non c’è niente di più sbagliato: gli errori si pagano, ed ecco che ti spieghiamo come e quando fare una causa di malasanità, affidandoti magari ad uno dei professionisti di Avvocato360.it, esperti dei diversi settori.
I casi di malasanità
Ci sono molte situazioni in cui è possibile ricorrere al risarcimento da malasanità. Ad ogni modo possiamo sintetizzare i casi più comuni nel modo seguente:
- Situazione di forte carenza della struttura
- Diagnosi non corretta o mancata diagnosi
- Negligenza durante gli interventi
- Negligenza durante le terapie.
I presupposti della malasanità: il nesso causa effetto
Per far sì che l’avvocato a cui ti rivolgi possa essere in grado di porre in essere una causa per malasanità, occorre avere nelle mani degli elementi probatori che possano attestare il nesso causa effetto, ovvero la connessione logica tra errore medico e danno del paziente. Si pensi ad esempio a chi pretende dallo stato il risarcimento per i danni causati da vaccinazione. Ci sono sicuramente molte difficoltà, per cui le prove occorrono oltremodo.
Coloro che hanno il minimo sospetto di aver subito un danno di tal genere, non devono fare altro che recuperare tutto il materiale probatorio per avanzare la propria richiesta. Una consulenza presso un legale può dare già il giusto input a seguire un determinato iter.
I documenti probatori
A questo punto possiamo parlare nel dettaglio, gli elementi cioè che possono fungere da prove per esperire una richiesta di risarcimento. In primis bisogna avere una completa cartella clinica, che si richiede presso l’ospedale in cui si era ricoverati. Se hai dei postumi, come dolori, disagi, cicatrici, vanno documentati tutti presso un medico specialista, con referti o comunque documenti scritti. Stesso discorso vale per fatture, scontri e similari.
Raccolte tutte queste info, l’avvocato chiederà un parere ad un medico legale, che farà la sua valutazione prima del nesso causale e poi dell’eventuale quantificazione delle lesioni subite.
Chi si cita in giudizio?
A questo punto sorge doveroso domandarsi chi si cita in giudizio. Sostanzialmente le strade sono due, o si porta in aula il medico (che a sua volta potrebbe avere un’assicurazione personale), o si cita la struttura. Per quanto concerne invece la questione tempo a disposizione, chi ha subito la lesione può chiedere il risarcimento entro 10 anni, e in alcuni casi 5 anni.
Ma chi paga il risarcimento? In genere dipende dalla situazione specifica. Senza andare troppo nel dettaglio il risarcimento può arrivare tanto dal singolo medico, tanfo dalla struttura ospedaliera. Dipende insomma dal contratto che lega ospedale e medico: se tra i due vi è un accordo di spedalità è iI medico che risponde personalmente di quanto accaduto. Se invece sussiste un contratto sociale tra medico e paziente, allora il medico chiamato in causa ha l’esclusiva possibilità di dimostrare che il danno cagionato al paziente non sia stato causato da sua negligenza e dunque ha l’onere della prova di aver seguito con scrupolo tutte le linee guida.