Il video dell'abbraccio alla scuola di bimbi e genitori contro la didattica a distanza
Nella mattina di sabato 13 marzo, una novantina di persone tra piccoli alunni, mamme e papà hanno attuato una manifestazione pacifica presso l'istituto di Monterosso
di Marco Oldrati
Essere chiusi fuori di casa è uno spauracchio dei bambini e non andare a scuola una felicità, ma qui lo spauracchio è diventato essere chiusi fuori da scuola. E per vincere questa paura stamattina (sabato 13 marzo) una novantina di bambini hanno “abbracciato” la loro scuola, la Papa Giovanni di Monterosso, con l’aiuto di nastri colorati e dei loro genitori, nel rispetto delle regole del distanziamento, ma con la serena convinzione che «la loro casa non è una scuola».
Sulla scia e per iniziativa del gruppo di genitori dell’Istituto Camozzi che aveva promosso il flash mob degli zaini appesi alle ringhiere, i bimbi e i loro papà e le loro mamme hanno circondato pacificamente il perimetro della scuola e l’hanno riconquistata per qualche minuto urlando con gioia la loro voglia di tornarci al più presto.
Un segnale forte per dire alle autorità che il loro diritto all’educazione non è risolto dalla sua versione surrogata e liofilizzata chiamata DAD, che vogliono una parità di diritti con quegli adulti che lavorano in presenza, che vanno nei negozi, che frequentano i bar, che si incontrano per ragioni professionali.
La chiusura delle scuole sta producendo difficoltà palesi che non sono solo limitate a un apprendimento a distanza poco efficace, ma soprattutto in una riduzione delle relazioni fra bambini e con gli insegnanti, relazioni fondamentali soprattutto per i più piccoli in un’ottica sia didattica, sia educativa, sia formativa. Non sono mancate in questi tempi le segnalazioni di psicologi e psichiatri che hanno evidenziato la delicatezza della crescita di questa generazione di bambini confinati nelle proprie case.
Le parole d’ordine sono quelle ricorrenti, infanzia negata, educazione sterilizzata, bisogni affettivi che passano in totale second’ordine: la sensazione ricorrente nell’ascoltare i partecipanti è che la scuola e nella scuola si sarebbe potuto gestire il contatto, cosa che è difficilissimo fare quando i bimbi si incontrano per esempio in un parco per la loro smania di “recuperare il tempo e il terreno perduto”.
Insegnanti, genitori, nonni hanno accompagnato bambini felici di vedersi in faccia, di poter urlare all’aperto il loro disagio e hanno messo i puntini sulle "i" di molte contraddizioni in corso, da quelle più arrabbiate a quelle più stupite per il cattivo funzionamento anche di quegli strumenti di prevenzione che lavorano sull’isolamento dei contagi.
Le parole si fanno quasi nervose nella bocca delle maestre che rivedono dopo una decina di giorni i bimbi e non sanno che altro dire se non un «a presto» che suona quasi sarcastico e che nel momento in cui si girano e non hanno i bimbi a vista diventa una maschera facciale rigida mista di fastidio e impotenza.
Una protesta pacifica ma determinata, che ha l’ambizione di estendersi ad altre scuole della città e di ufficializzare il problema educativo e psicologico che questa generazione Covid sta vivendo in modo sempre più marcato e sempre meno gestito.