La rinascita

Cosa dice la proposta-manifesto degli artisti teatrali bergamaschi

Programmazione ragionata e condivisa estiva al Lazzaretto, «contenitore altamente simbolico e logisticamente adatto»

Cosa dice la proposta-manifesto degli artisti teatrali bergamaschi
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Nei lazzaretti venivano messi in quarantena gli appestati. Ma quest’estate il Lazzaretto potrebbe diventare il luogo della rinascita creativa dalla pandemia, grazie a una proposta-manifesto avanzata dagli artisti teatrali bergamaschi. Il gruppo promotore è composto da Tiziana Pirola, Sara Pessina, Federica Falgari, Sergio Ravasio, Luca Loglio; hanno già aderito e stanno aderendo numerosi ensemble, artisti e operatori del territorio.

Cosa vogliono. «In accordo – si legge nel manifesto - con le realtà artistiche di Bergamo e con l'appoggio di maestranze specializzate (architetti e ingegneri, progettisti e responsabili di sanità e sicurezza, allestitori e tecnici) desideriamo che la ripartenza delle attività di spettacolo a Bergamo possa avvenire al Lazzaretto di Bergamo, contenitore altamente simbolico e logisticamente adatto. Un luogo che possa accogliere all’aperto, nella stagione estiva, gli ensemble e gli artisti bergamaschi con una programmazione ragionata e condivisa. Tale da rimettere in scena, nella comunanza di intenti e a salvaguardia dello spettacolo, un allestimento appositamente pensato, che dia ospitalità a manifestazioni e festival, rassegne e appuntamenti, spettacoli dal vivo e non, ognuno frutto di un ricco e fecondo habitat culturale che fiorisce in ogni estate bergamasca. Vorremmo creare uno o più palchi, o più ambienti, di cui abbiamo già verificato le prime ipotesi di fattibilità, unite dal filo narrativo sopra accennato, in una riflessione comune sullo stato dell’arte e sulla necessità di cooperare per la rigenerazione culturale. L'arte, in questo momento, non può essere abbandonata e gli artisti, al pari delle maestranze edili, si reinventano e vogliono ricostruire. Alle artiste e agli artisti il grande compito di far vibrare il passato e il presente, in una grande orazione per il futuro delle comunità e dei territori».

Riflessione sul Covid-19. «Gli artisti, in tempi precari e fragili come quelli nati dalle epidemie, sono chiamati in causa nella ricostruzione del vivere sociale, dei saperi culturali, delle abitudini e delle relazioni, dell’uso della libertà individuale e collettiva. Concetti e pratiche, date per certe e irrinunciabili, e sovvertite nel giro di pochi giorni. Sono chiamati, tra tensione carnale e spirituale, a generare un impegno narrativo che va oltre la cronaca, per approdare a racconti corali che leniscano lutti enormi, personali e collettivi, che esorcizzino le paure e che sbeffeggino le meschinità e le vanità umane. Sono chiamati al senso profondo del loro fare, oltre le mode, i generi, i linguaggi e anche alle economie che vanno oltre la sopravvivenza, come tutti del resto. Sono chiamati a restituire alla polis il proprio senso di appartenenza e di comunione: una sorta di collante sociale che diviene, al tempo stesso, contenitore delle necessità e delle narrazioni generate dagli accadimenti, dalle persone, dai luoghi. Le donne e gli uomini d’arte devono – come gli amici di Boccaccio, i medici di Camus, gli autori delle avanguardie – dare un senso e un ordine nuovo allo stato delle cose e immaginarne le cure, per una guarigione possibile».

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