A tu per tu con Luciano Merla, cioè la corsa come stile di vita

Siamo a tavola da Efrem Merelli, nazionale di sci dei tempi d’oro, oggi ristoratore in quel di Orezzo suo paese natale, e io mi sento un nano in mezzo ai giganti. C’è Carlo Magni, il nostro maratoneta metronomo, Mario Poletti, allenatore di campioni paraolimpici come Martina Caironi (e parleremo anche di lui presto) e poi per ultimo arriva lo “Zio”, Luciano Merla.
È stato occupato tutto il giorno, nel mestiere più stressante che forse gli sia mai toccato di fare: il nonno! Ma gli occhi brillano, di una fiamma orgogliosa che sembra quella di un bambino che ha appena ricevuto i regali da Santa Lucia.
Luciano è una specie di istituzione della corsa in Val Seriana: presiede la Recastello, ha allenato un’altra conoscenza di queste pagine, Samantha Galassi, è sul campo a correre da cinquant’anni, a sinsigare i suoi atleti perché facciano meglio, a partecipare con passione all’organizzazione di gare, alla presenza di corridori in giro per le manifestazioni, mai fermo e mai negativo, ma il suo messaggio è chiaro, come se ci fosse bisogno di ripeterlo.
«La corsa è un modello educativo, personale e sociale. Correre è un modo per imparare quali sono i propri limiti, ma anche per vivere la comunità, il territorio. La Bergamasca è un capolavoro in questo senso, per la nostra propensione alla fatica, per il nostro spirito di sacrificio, ma anche per il senso di collaborazione che insegna, tanto in allenamento e in gara, dove ci si stimola a vicenda a far meglio, quanto e soprattutto per il senso di reciprocità e di condivisione che produce in chi vuole far correre la gente».
Ne avevamo già parlato, ma Luciano ce lo chiarisce facendo un esempio lampante e recente: «Berghem Mola Mia è stata una manifestazione ciclistica meravigliosa organizzata proprio qui a Gazzaniga, ci è stato chiesto aiuto ad organizzarla e ci siamo presentati alle cinque di mattina per “smontare dal servizio” alle sette di sera. Il compenso? Siamo certi che se chiederemo una mano agli amici della Gazzanighese per una nostra manifestazione loro ci saranno». È molto più che solidarietà, è reciprocità civica, senso della comunità, attenzione al proprio amato territorio. Ma anche alla gente.
E anche alle persone: parlando di un suo atleta Luciano cerca di capire come stimolarlo a migliorare il suo personale sui 1500 metri, ma la conversazione si sposta quasi immediatamente dalle prestazioni alla storia di vita di questo ragazzo della Val di Scalve che va molto più forte in allenamento che in gara, ma ha un potenziale straordinario che funziona meno eccezionalmente quando è in competizione con altri. Ed emerge una storia personale, che Luciano considera con attenzione, quasi ritenendola più importante degli allenamenti.
Ed emerge, quasi come un sottofondo musicale o un panorama dietro al protagonista di un quadro, l’idea forte che a correre sono le persone, con le loro potenzialità atletiche, ma soprattutto con le loro storie personali, che sono dense di passione, di tenacia, in alcuni casi anche un po’ folli, ma allo stesso tempo dense di dettagli che è necessario conoscere bene e capire ancor meglio, perché in una serata passata a parlare di uno sport nominalmente individuale come l’atletica capisci che correndo, allenando, organizzando, vivendo la corsa vivi in una comunità così ricca e intrecciata che la prestazione quasi in secondo piano.
La prova? Il grido, un po’ di dolore e un po’ di rabbia, per i ponti della pista ciclabile della Val Seriana, costruiti in legno per essere più ecologici, ma ammalorati ed estremamente impegnativi da manutenere, con il risultato che due di essi sono chiusi da anni. «Una risorsa per il territorio, che ha reso visitabile, apprezzabile, godibile la valle rimane monca perché le amministrazioni non hanno soldi per sostituire queste strutture con altre più solide e durature».
E lo slancio di passione atletica e civica si spinge oltre. «Se potessimo ricevere le attrezzature minime per fare manutenzione su piste e sentieri, che so, un decespugliatore e la benzina per tenere liberi da rami e sterpaglie i nostri percorsi, daremmo una mano alle nostre amministrazioni locali con tutto l’entusiasmo che mettiamo nella corsa, ma responsabilità, assicurazioni, regole ci bloccano».
Finisce la cena e me ne vado a casa con una convinzione: se Luciano Merla insegnasse educazione civica ai ragazzini li trasformerebbe in cittadini migliori, così come ha fatto con molti ragazzi facendoli diventare atleti. Il corridore (forse l’abbiamo già scritto, ma ripeterlo non guasta) è un animale sociale.