I farmacisti di Piazza Sant'Anna sono tipi che corrono (e aiutano chi corre)
Umberto e Alessandro Gazzola sono una vera istituzione, anche solo per chi ha qualche “ambizione” sportiva

di Marco Oldrati
Umberto e Alessandro sono due istituzioni, in Piazza Sant’Anna. Oltre che per un pubblico, quello del Borgo Palazzo, ancora così affezionato a negozi di prossimità (panettieri, fruttivendoli, riparatori di elettrodomestici, piccoli bar) e così bisognoso di un punto di riferimento quasi senza orari come la farmacia, anche per chi ha qualche “ambizione” sportiva ed è in cerca di idee sane e intelligenti su come alimentarsi correttamente.
Ma com’è che ne sanno di prodotti? Hanno fatto i corsi di qualche azienda che offre integratori, gel o altro? Può darsi, ma prima di tutto li provano, perché corrono, pedalano, sciano… insomma Umbe e Ale si divertono a fare fatica. La cosa che colpisce è la loro straordinaria complementarità: Umbe vero e rigoroso “amatore” con i suoi acciacchi che l’hanno portato a mettersi a riposo ultimamente, Ale più agonista (ma con una passione per lo sci di fondo - è entrato nei primi mille alla Marcialonga, mica pizze e fichi!), ma entrambi vi daranno consigli adeguati e indicazioni valide.
Perché? Per passione, prima ancora che per qualsiasi altro motivo: se l’anziano che entra in farmacia a provare la pressione è rassicurato dalla loro pacatezza, l’appassionato di running (e di altri sport) sa che non dovrà necessariamente acquistare una cassa di bustine o di gel, ma potrà fare pacatamente due chiacchiere, discutere di percorsi di allenamento, di gare fatte o da fare, di esperienze, di “sventure”. Anche perché si troverà di fronte due esseri “umani”, non due superman.
Umbe forse durante la pandemia ha perso qualche volta il sorriso quando, quasi disperato, cercava le bombole d’ossigeno da fornire ai pazienti allettati presso i propri domicili, ma io ho in mente la sua faccia serena in pizzeria prima di una maratona in cui mi lasciai trascinare da “quelli forti” e non arrivai al traguardo. Bene, lui al traguardo ci arrivò, in circa quattro ore, con lo stesso sorriso pacato della sera prima, soddisfatto della sua prestazione e di aver raggiunto lo striscione d’arrivo senza troppi affanni. Fu una lezione, che ricordo ancora bene anche se qualche volta provo a dimenticarmela per poi pentirmene subito dopo.
E un’altra volta, ancora, quando io ero reduce da un’ernia inguinale e da un trasloco, quindi non proprio allenato: difficile stare al passo di chi andava forte. Ma scoprii che lui alle sei e mezzo scattava in piedi e si faceva un giro in val d’Astino fino alla Casa degli Angeli al confine fra Longuelo e Mozzo e ci andai con lui, chiacchierando con calma in una mattina di settembre che sembrava fatta per correre. Umberto quando corre ti dà l’idea che per quanta fatica si possa fare la libertà di quei minuti passati a mettere un passo davanti all’altro sia impagabile.
E Ale non è da meno: la sua esperienza nella corsa è quasi “accessoria” alla sua passione per lo sci di fondo, ma due maratone le ha corse anche lui e non due qualsiasi, Berlino e New York: a Berlino si è messo in coda a una squadra di “precisetti” e con un allenamento sicuramente non perfetto è sceso sotto le tre ore e mezzo. A New York, beh, magari s’arrabbia, ma io la racconto lo stesso: c’è andato con sua moglie (che corre più forte di lui!) ed è partito bene, ma – come la consorte – negli ultimi km ha pagato parecchio: lo seguivo con i sistemi di tracciamento quella domenica, curioso di vedere come un fondista affrontasse una maratona due mesi prima della Marcialonga e vidi il suo percorso con la fatica della “zona buia”, come noi che corriamo chiamiamo i chilometri dopo il trentacinquesimo e le ondulazioni micidiali di Central Park che tutti coloro che hanno finito la maratona della Grande Mela ricordano con un cocktail di sofferenza e orgoglio. Bene, qualche giorno dopo, commentando la cosa in farmacia, sembrava di vederlo ancora correre, come se quei chilometri, quei passi fossero sì importanti e speciali, ma avessero anche una loro collocazione in un percorso, in una “vita di tutti i giorni” di cui la corsa faceva parte.
E quindi andare a trovarli ha un effetto antidoping: uno, davanti alla loro tranquillità nel parlare di sport e fatica, si smonta, nel senso buono del termine. Quel che ti consigliano ha il valore di una spinta di sostegno, non di un acceleratore verso il primato personale: un gel che ti serve per ritardare i crampi, un integratore che ti fornisce i sali che perdi senza metterti sete, ecco, cose normali.
E ti ritroverai a fare una specie di esercizio di stile se andrai da loro: chiacchiereranno con te interrompendosi per servire mamme preoccupate per la febbre del bimbo o signore su di età esitanti per la vecchiaia o altri come te che sono lì a fare conversazione in vista di “imprese” sportive, ma tutto questo fa parte del loro tran tran, di una routine che è quasi uno stile di vita: perché per loro vale il verso di una canzone di Lucio Dalla: “Penso ad emozioni, grandi imprese … ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.