Alà, cór!

Il gran ritorno del Trittico delle Tartarughe (ma che fatica per le non competitive)

Renzo Danesi: «I classici gruppi, quelli che apportavano centinaia di partecipanti in ogni tapasciata, non riescono più a fare questo lavoro»

Il gran ritorno del Trittico delle Tartarughe (ma che fatica per le non competitive)
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di Marco Oldrati

Renzo Danesi ha ancora energie da spendere, come fa da quarantacinque anni in questo campo, ma anche qualche grattacapo: il Covid è una malattia che ha colpito duramente anche il mondo delle non competitive, non c’è dubbio. Domenica prossima torna in città il Trittico delle Tartarughe, un evento che io ricordo presente a Bergamo fin dalla mia infanzia, che ha resistito alla pandemia, ma che ha pagato come tutte le altre situazioni di sport “libero” un prezzo molto alto.

«Abbiamo ripreso a lavorare appena è stato possibile, organizzando con l’Oratorio di Malpensata, dove abbiamo la nostra, sede una manifestazione amatoriale qualche domenica fa, ma rispetto ai soliti duemila partecipanti ne abbiamo registrati soltanto poco più di trecento. È un lavoro impegnativo, che abbiamo realizzato in questi tutti questi quarantacinque anni grazie a tutti i consiglieri che nel tempo si sono succeduti e alla miriade di volontari che hanno collaborato in ogni singola edizione a fare di questa corsa una specie di appuntamento fisso per la città».

A che cosa è dovuto questo calo?

«A una situazione estremamente delicata a livello di gruppi: la socializzazione generata dal correre insieme è stata davvero penalizzata dalle restrizioni che la normativa per il contenimento del contagio ha imposto e ci siamo ritrovati a constatare che i classici gruppi, quelli che apportavano centinaia di partecipanti in ogni tapasciata in giro per la provincia non riescono più a fare questo lavoro».

Un mondo ancora tutto da ricostruire?

«Sicuramente un mondo che soffre e che soffrirà ancora a lungo: la pandemia non è finita, le varianti sono tutte qui a testimoniare che le vaccinazioni già fatte probabilmente non basteranno, che il green pass diventerà una specie di passaporto di ammissione anche per le nostre manifestazioni amatoriali, ma c’è molto da fare soprattutto a livello di aggregazione e qui il terreno è davvero delicato. I gruppi podistici si sono sfaldati e le associazioni si stanno interrogando concretamente su come farli ripartire o almeno sopravvivere».

Già perché Danesi, oltre che “anima” del Trittico delle Tartarughe insieme alla moglie Luisa Teani, è anche presidente Fiasp provinciale e membro del Direttivo Nazionale.

«Fiasp sta dandosi da fare, con impegno, nella convinzione che le regole vadano rispettate, ma anche la costruzione delle regole non è una passeggiata di salute. Per far capire la non competitiva ai burocrati abbiamo sudato più che a correre, per scrivere i protocolli di sicurezza abbiamo lavorato giorno e notte, perché in fin dei conti, nonostante il Trittico esista da quarantacinque anni il mondo non competitivo è sconosciuto al legislatore e al pubblico amministratore, che fatica a capirne le logiche di funzionamento».

Una situazione diversa da quando avete cominciato?

«Allora viaggiavamo sull’onda dell’entusiasmo, della passione, ma le regole erano poche e la difficoltà era quella di far funzionare le cose, oggi il problema sono le regole da rispettare, in alcuni casi forse pesanti, ma in altri necessarie. Da dieci anni ai ristori delle non competitive non si possono più offrire prodotti alimentari che non siano confezionati: niente più fette biscottate e marmellata, per farci capire. Bene, quella che sembrava una regola perversa è diventata una prassi minima di tutela in epoca di Covid 19, perché un atleta potrebbe essere contagiato senza saperlo e toccare cibo che poi sono altri a mangiare…».

Una lezione impegnativa da imparare

«Per quanto sia impegnativa non ci ha fermati, continuiamo a pensare che ne valga la pena: da una trentina d’anni abitiamo – io e mia moglie – ad Azzano San Paolo, ma in realtà è il luogo dove andiamo a dormire, perché la nostra vita si svolge all’Oratorio della Malpensata, per mantenere alto il livello di coinvolgimento di un gruppo e di uno sport che abbiamo sempre concepito come una passione, mai come una competizione».

Uno spirito che oggi è un po’ cambiato.

«Sono cambiati i modi con cui viene vissuta la corsa: quando abbiamo cominciato c’era molta più aggregazione priva di riscontri di prestazione, si correva e basta. Oggi è difficile trovare un gruppo podistico non in cui ci sia una quota consistente, spesso superiore al cinquanta per cento degli iscritti, che hanno le gare come obiettivo. Non dimentichiamoci che il partecipante alla tapasciata ha un’età media over quarantacinque, là dove le famiglie che fanno i percorsi più facili non fanno parte del nostro pubblico tipico, pur costituendo un elemento fondamentale dello spirito appunto aggregativo che ci contraddistingue».

E che cosa vi porta a mettervi ancora in gioco?

«La passione per la corsa è l’elemento prioritario, ma serve un leggero tasso d’incoscienza. Se ci ripenso, il Trittico è nato due anni prima della Strabergamo e a seguire sono nati gruppi, manifestazioni, una rete territoriale impressionante. Adesso dobbiamo affrontare stili di comunicazione nuovi, da Whatsapp ai social network che danno visibilità e impegno aggiuntivo che richiedono anche una predisposizione chiamiamola culturale, un bel carico di lavoro aggiuntivo».

Ma la pazienza non manca e l’energia nemmeno, possiamo dirlo?

«Siamo Tartarughe, siamo nati con la predisposizione a correre lentamente ma ad arrivare al traguardo: esserci arrivati per quarantacinque volte è come una specie di impegno a dirci che l’anno prossimo, Covid o non Covid, ci proveremo ancora!».

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