Alà, cór!

Le Scalette del Martedì, quando la corsa è tutta fatta a gradini

Il secondo gruppo di podisti che “visitiamo” nel nostro tour de force (che questa volta è stato davvero molto intenso) è dedito a Scorlazzone & c.

Le Scalette del Martedì, quando la corsa è tutta fatta a gradini
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di Marco Oldrati

Sarà stata la coincidenza con la luna piena, ma quella della sera del 29 settembre è stata un’esperienza di corsa davvero unica. Le Scalette del Martedì sono un gruppo, il secondo che “visitiamo” nel nostro tour de force che questa volta è stato davvero intenso, sotto tutti i punti di vista. Raduno alle 19, mi dice Eleonora, gallerista con una progressione che farebbe invidia a un ottocentista: io preciso come un impiegato di banca parcheggio e vedo una macchia arancione davanti a me, i primi elementi del gruppetto che si sta aggregando in vista della partenza.
Sono un po’ esitante, ma Giorgio, Leo, Luca e Lino (detto Linus) mi fanno capire che non mi tireranno il collo, anche se il nome del gruppo mi fa tremare le rotule: le Scalette del Martedì sono corridori con i controfiocchi e quando uso il maschile corro il rischio di farmi insultare, perché fra di loro ci sono numerose donne di età svariate che viaggiano che è un piacere… La Ele infatti (perfida …) mi indica di stare dietro a Nadia, ma quando la guardo questa Nadia capisco al volo che non è cosa, come direbbero a Napoli: pesa la metà di me e la massa grassa è assente giustificata dall’allenamento “visibile” nei polpacci che guizzano.

Partiamo, io scelgo la mitica tattica Bugno, il mio idolo ciclistico: prima delle salite mi porto sui primi, in modo da venire superato dal resto del gruppo man mano. Ma la cosa è tosta: prima la Nocca dall’Accademia Carrara, poi la scaletta che collega Via Monte Ortigara a Viale Vittorio Emanuele, poi quella dalla Funicolare a San Giacomo… e qui qualcuno comincia a controllare come sto in cima alla salita. Mi piace ‘sta cosa, sono il nuovo arrivato e un po’ si preoccupano, ma lo fanno in un modo diretto e senza tirarla lunga, un’occhiata interrogativa e quando rispondo con il pollice alzato e un sorriso sono soddisfatti e non fanno altre domande.

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Ma la sfida continua… scendiamo da Via Sant’Alessandro, poi Via Garibaldi e… svolta a destra, Via Nullo alta e… svolta a destra, lo Scalone di Sant’Alessandro! Comincio a domandarmi come andrà a finire, ma una delle ragazze presenti mi si affianca e mi dice che somiglio a Stromberg e la mia autostima cresce al punto tale che faccio le ultime due serie di gradini correndo e non camminando!

È diventato buio e si accendono i lumini ad hoc su delle piccole fascette in fronte a molti dei partecipanti, ma in cima allo scalone, siamo di nuovo sotto porta San Giacomo arriva la sorpresa: adesso il percorso è discesa per la scaletta del Paradiso fino alle Piscine e poi su! Scaletta delle More, Scorlazzino e Scorlazzone! Non so se è l’adrenalina, se è la luna piena, se è il senso di amicizia che nasce spontaneo da tutte queste persone che mi incitano e apprezzano la mia capacità di abbassare la testa e salire con il mio passo, camminando quando sono in affanno e correndo quando riesco, ma arrivo a San Vigilio e mi dico che questa è solo la prima volta che vengo con loro: c’è stato così poco stress e così tanto divertimento che mi pare di aver superato un mio limite, se mi avessero detto di provarci da solo li avrei guardati come dei personaggi che si sono appena tolti la camicia di forza …

La discesa da San Vigilio al Lazzaretto è un tuffo, mi trovo a fianco Leo e Luca e mi sembra di conoscerli da una vita, tanto è naturale quel correre allo stesso ritmo. Ciovo e un altro mi superano su viale Giulio Cesare, ma mentre ciondolo rallentando prima del semaforo dello stadio Luca e Mic mi affiancano con un sorriso contagioso e mi fanno i complimenti, invitandomi all’ultimo scatto per arrivare davanti al portone del Lazzaretto.

Sto per salutarli, ma si leva un coro di lamentela: sto abbandonando il gruppo prima del Terzo Tempo, una tradizione ereditata dai tifosi di rugby, ma tanto viva fra gli “scalettari” che – pur avendo a disposizione solo trenta forchette – stasera hanno deciso che qualcuno gli strinù li mangerà con le mani, a patto di poter stare insieme. Nadia, promotrice del Terzo Tempo, mi guarda un po’ sospettosa: chi è ‘sto tizio che è venuto a scrivere di noi e non partecipa alla premiazione collettiva per la fatica fatta? Io me la cavo promettendo che martedì prossimo sarò ancora lì e che mi prenderò la serata libera da obblighi familiari.

E a dire la verità mentre torno a casa in macchina un po’ rimpiango di non aver fatto un colpo di telefono dicendo che arrivavo un’ora dopo… perché, mi chiedete? Perché se Vecchioni ci avesse visti martedì sera non avrebbe aspettato una partita dell’Inter per scrivere Luci a San Siro, sarebbe venuto con noi a correre e avrebbe scritto Luci a San Vigilio! Ho sentito tanta “fratellanza” in un’ora e mezza di corsa con persone che avevo appena incontrato che mi sono domandato perché non ci avessi pensato prima.

E considerate che in cima a ogni scaletta ero fra gli ultimi, ma ogni volta intorno avevo facce che mi convincevano che quello che stavo facendo era incomparabilmente più gratificante di un aperitivo: Bergamo per le scalette con la luna piena, nel bel mezzo di una serata di settembre. Giordi, uno dei leader del gruppo, nel salutarmi ha sintetizzato il tutto con un’espressione che non ammette commenti: “Mei che ‘ndà al cinema!”.

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