Itinerari per l'estate

Avete mai visto Pratomagno?

Avete mai visto Pratomagno?
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Bene: questa volta ci andiamo a piedi. Roba per orobici vintage, ovvero di quelli che camminano. Perché si tratta di raggiungere la vetta di un monte. Non una vetta altissima, e nemmeno impervia. Diciamo come il monte Canto. Solo che è alta il doppio: ma nessuna paura perché si parte già in quota. Stiamo parlando della Cima di Pratomagno, il tratto della dorsale appenninica tra Firenze e Arezzo, attorno alla quale gira l’Arno, e che fa da sfondo agli affreschi di Masaccio - che era nato nella vicina San Giovanni Valdarno. [Per questa volta date un’occhiata previa qui]. Quanti giorni, da Bergamo? Uno per arrivare al campo base, un altro per la cima, il terzo per tornare.

 

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Uno per arrivare al punto di partenza si dice perché, trovandosi a passare da quelle parti, non si può pensare di lasciare invisitata la summenzionata San Giovanni che, oltre ad aver dato i natali al pittore della Cappella Brancacci (nella chiesa del Carmine, a Firenze), ospita un’Annunciazione del Beato Angelico che i cultori del genere considerano un vertice assoluto (le altre tre, come noto, si trovano a Firenze, Cortona e Madrid). Se non si vuole arrivare fino a San Giovanni - dove c’è anche una piazza che nessuno si aspetta di trovare lì, e una chiesa stranissima - vale almeno la pena di raggiungere o Vallombrosa (foresta e Abbazia) o Loro Ciuffenna che può vantare, a un tiro di schioppo, una pieve medievale - la Pieve di San Pietro, a Gropina - di cui non diciamo niente, aspettando che siano i nostri lettori a raccontarci cos’hanno provato entrando. E arrivando, e tornando indietro.

O magari, sempre da Loro, si potrebbe decidere di raggiungere - in macchina - l’abitato di Rocca Ricciarda, che è questo qui sotto. Fino a qualche decennio fa uno scrigno noto soltanto a chi amasse perdersi girando a piedi fra i castagni, oggi servito da una strada asfaltata. Un fascino un po’ inferiore, una comodità molto maggiore. Anche da Rocca Ricciarda parte un sentiero che porta alla Croce, ma ci permettiamo di sconsigliarlo perché orobici va bene, ma se avete dietro amici e parenti non usi a scarpinare vi trovereste presto a mal partito: la salita tira infatti da far paura. E anche la discesa, al ritorno, non è delle più agevoli (Detto fra noi: è stupenda).

 

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[Rocca Ricciarda]

 

Ci sono fortunatamente modi meno impegnativi per arrivare alla Croce. Il più tranquillo è quello che parte da Cetica, paesino sul versante nord della montagna, che ospita un piccolo museo del carbone. Gli abitanti di Cetica (i Ceticattoli, come li chiamano nella lontana Maremma) erano infatti carbonari e castagnai d’inverno e raccoglitori di pinoli d’estate: i loro cognomi si trovano pertanto equamente distribuiti lungo il percorso dal paese e alle paludi grossetane a cui, ogni anno, scendevano e da cui risalivano. Da Cetica una strada in gran parte sterrata porta ad una sella da cui è poi facile arrivare in cima perfino con i passeggini.

L’altro percorso, quello che consigliamo vivamente, parte invece dal Rifugio Monte Secchieta, serenamente raggiungibile in auto dalla sottostante Vallombrosa attraverso una magica foresta d’abeti. Al rifugio si può dormire, così da trovarsi, la mattina seguente, perfettamente in grado di affrontare la giornata di cammino - tra andare e tornare - alla Croce. Il percorso è un saliscendi tra prati e panorami lucidi e ventosi, privo di reali difficoltà - eccettuata, ovviamente, la sua lunghezza. Però, perdonateci, vale davvero la pena di tentarci. Male che vi vada potreste tornare indietro a metà strada, e sareste già contenti di aver visto quel che avrete visto: i paesaggi della Gioconda, gli sfondi dell’immaginario rinascimentale, l’azzurro infinito delle colline.

 

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C’è - infine - un’altra cosa che fa sorridere il pensiero quando risale la strada che, sulla destra dell’Arno, via Pontassieve, porta da Firenze a Vallombrosa. Imboccato, a Sant’Ellero il bivio sulla sinistra, si incontra il paese di Donnini, sede della Fondazione Santa Maddalena. Un luogo, un’antica casa con ampio terreno attorno, che Gregor von Rezzori e sua moglie Beatrice Monti della Corte von Rezzori - donna assai fascinosa oltre che colta e intelligente - hanno reso punto d’incontro per la crème de la crème della cultura europea e non solo. Spicca, in questo paradiso di raffinatezze, un’antica torre di segnalazione (o torre del fuoco) che ospitò per un certo tempo lo scrittore e fotografo Bruce Chatwin, l’irrequieto vagabondo cui dobbiamo l’attrattiva della Patagonia e delle Vie dei Canti degli aborigeni australiani.

In un breve racconto intitolato “Una torre in Toscana” - nella raccolta di scritti Anatomia dell’irrequietezza (Adelphi; qui l’originale in inglese, con foto) - Chatwin racconta di un vecchio pittore d’affeschi chiamato dai padroni di casa a decorare con grandi strisce verticali rosse, che avrebbero dovuto evocare i fasti dell’impero ottomano, la stanza in cui trascorreva il suo tempo scrivendo. Ebbene, quelle strisce presentavano qualche irregolarità (erano venute un po’ storte, awry) perché durante il lavoro il pittore continuava a sbirciare, dalla finestra, la baronessa che nuotava in piscina. (But when he came to paint the pink “Ottoman” stripes of the room I write in, he was forever peering from the window at the baronessa in the swimming pool, and some of the stripes have gone awry). Non risulta che, in quell’eden, nuotasse vestita.

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