Benvenuti alle Olimpiadi dei nomadi tra lotte a cavallo e capre volanti

Ah, se solo il vecchio Gengis Khan fosse vivo. «Avrebbe voluto essere qui», tuona la voce del presentatore, microfono a palla, luci, colori e musica da battaglia tutt'intorno. Benvenuti ai World Nomad Games, dove si combatte a cavallo, si tira d'arco (quello vero, alla Robin Hood) e si misurano il coraggio e l'abilità. Fino all'8 settembre, sulle rive del Lago Ysykköl, si disputano le olimpiadi dei popoli nomadi. Lo specchio lacustre sembra un posto da mito e leggenda, invece è il Kirghizistan. Ed è qui che l'Asia centrale sta rispolverando tutto l'orgoglio e la tradizione nomade, proprio grazie ai giochi. Dalla caccia con l'aquila al lancio delle ossa, e ancora: il wrestling a cavallo, il giavellotto equestre, e il terribile Kok-boru, una sorta di Polo primordiale in cui due squadre si affrontano contendendosi una capra morta con cui fare gol. «Oggi le persone dimenticano facilmente le proprie origini - ha commentato Almazbek Atambayev, presidente del Kirghizistan -, c’è il rischio che si estinguano queste tradizioni. La nostra civiltà è un esempio di sviluppo sostenibile, di come si possa vivere la modernità senza scordarsi delle proprie usanze».
Un po' Hunger Games e un po' folklore, i World Nomad Games sono una cosa estremamente seria. Questa, oltretutto, è la seconda edizione. La prima l'avevano fatta nel 2014 e siccome funzionano probabilmente li faranno anche tra un paio d'anni. Tutta la manifestazione si sta svolgendo all'interno di un nuovissimo e fiammante ippodromo da 10mila posti vicinissimo alle acque del Ysykköl, un lago ad alta quota a quattro ore da Bishkek, la capitale del Kirghizistan. È lì che si è svolta anche la cerimonia d'apertura. Tra cavalieri acrobati, amazzoni, guerrieri e... Steven Seagal. Ma sì, proprio lui: avete capito bene. A un certo punto è spuntato l'attore di Hollywood famoso per i suoi cazzotti e per aver salvato il mondo un centinaio di volte. Seagal si è presentato con addosso l'armatura di tradizionale dei guerrieri kirghisi, ha fatto un giro dell'ippodromo, fatto ciao con la mano, un inchino e poi si è dissolto come in uno dei suoi tanti film.
Anche questo è un modo per tenere vivo il fuoco sacro della tradizione e alimentare, almeno un po', il turismo. A questi World Nomad Games partecipano 62 nazioni che si affrontano in 17 discipline diverse. Ci sono i tanti territori dell'Asia frazionata e frammentata, ma ci sono anche i rappresentanti dell'immancabile Usa, della Gran Bretagna, dell'Argentina. E ovviamente c'è anche l'Italia, con una sola atleta. Uno degli sport più tremendi è il Kok-Boru, in cui le squadre (a cavallo) devono prendere possesso di una capra morta, scaraventarla in aria, poi segue una violenta rissa per la contesa finché un cavaliere non riesce nell'impresa di portare la capra verso la porta avversaria. Oppure, tra i giochi di intelligenza e abilità, c'è il Toguz Korgool. Una sorta di dama in cui bisogna raccogliere il maggior numero possibile di korgol («escrementi di pecora»). Il gioco è stato pensato per lo sviluppo strategico militare in tempi di pace e rappresenta la conquista della ricchezza, della proprietà e delle truppe nemiche.
Il motto di questi World Nomad Games - perché c'è sempre un motto quando si parla di giochi - è facile: «United in force! United in spirit!». Eppure nemmeno lì, in Kirghizistan, non sono mancate le critiche e le divisioni. Alcuni esponenti del governo kirghiso si sono lamentati per i troppi fondi stanziati per la realizzazione di questa manifestazione. Un po' come sta succedendo a Roma per le Olimpiadi del 2024, insomma. Tutto il mondo è Paese, si sa. Ma certo i World Nomad Games di due anni fa erano un'altra cosa, molto diversa, un'edizione in miniatura rispetto a quella in corso oggi. Alla fine, però, conta sempre quel che pensa la gente: «Il piccolo Kirghizistan ha messo su uno spettacolo per il mondo intero, uno spettacolo per mostrare le nostre grandi tradizioni». È solo uno dei tanti, tantissimi commenti arrivati in questi giorni da lì. Tradizionalmente, non è neanche poco.